<< Ore 11.15. Riaffermo le mie ipotesi: 1)La matematica è il linguaggio della natura. 2)Ogni cosa attorno a noi può essere rappresentata e spiegata attraverso i numeri. 3)Tracciando un grafico di questi numeri, è possibile far emergere dei modelli. Perciò ovunque in natura esistono dei modelli>>.

Ci sono film che sin dal loro primo vagito su celluloide sono destinati ad essere ricordati nel tempo. Si insinuano, lenti e inesorabili, nel tessuto della nostra cultura, nei nostri schemi, divenendo solidi punti di riferimento per il futuro, dettando stili e canoni di notevole influenza.

Non è dato sapere se fossero sin dall'inizio queste le intenzioni di  Darren Aronofsky, regista sicuramente particolare e fuori dagli schemi, che nel 1996 iniza la stesura di un soggetto cinematografico che vedrà la luce  due anni più tardi, con il titolo "Pi" (da noi conosciuto come "Pi greco: il teorema del delirio"): un progetto audace, rischioso nel suo impatto con il grande pubblico, realizzato con pochi mezzi ma con un raffinato lavoro di sceneggiatura e documentazione alle spalle.

Difficile non solo riassumere, ma anche parlare della trama del film: "Pi" è la storia di un viaggio. Un viaggio profondo negli abissi della mente di Maximillian Cohen (un bravissimo Sean Gullette), geniale matematico affetto da potentissime crisi di emicrania( probabilmente, per aver fissato intensamente, da bambino, la luce del sole) perennemente rinchiuso nel suo appartamento di Chinatown. Fortemente convinto che l'intera natura, e persino la realtà umana, possano essere interpretate in termini di leggi matematiche e geometriche, Max è alla disperata ricerca di una regola universale che permetta di anticipare l'andamento delle quotazioni di borsa. Grazie  all'aiuto di potenti calcolatori elettronici, farà la conoscenza con una serie numerica di circa 200 cifre, attorno alla quale gravitano gli interessi di un gruppo di speculatori di Wall street e di una congregazione ebraica. Maximillian verrà quindi trascinato in un vortice di eventi incontrollabili, a contatto con l' avidità e la sete di conoscenza dell'uomo moderno, fino a mettere a repentaglio la sua stessa salute mentale.

E' un film sorprendente, quello di Aronofsky, su due fronti. Sicuramente per quanto riguarda i temi trattati, che vanno da ferrei teoremi matematici alle più fantasiose contaminazioni religioso-esoteriche. Lo spettatore è partecipe del viaggio mentale del protagonista, che se dapprima appare legato a incontrovertibili teorie scientifiche, progressivamente si lascia affascinare dall'ignoto, dal mistico, dalla pura irrazionalità, imparando a sue spese quanto sia pericolosa la brama di conoscenza, che se da un lato rende l'uomo consapevole, dall' altro lo accompagna mano nella mano verso un pericoloso baratro.

Molta la carne sul fuoco nella sceneggiatura. Ma se al primo impatto ci si sente confusi, durante la visione non si può che interessarsi sempre più alle avvincenti teorie su cui si basa il film. La matematica è trattata in modo specifico, ma il tono è in molti punti alleggerito dagli elementi esoterici e misteriosi di cui sopra.

Ma il comparto di maggior pregio, secondo me, è quello tecnico. Visivamente il film è strabiliante, con un montaggio ipercinetico che mette in parallelo il frenetico movimento mentale con quello fisico, tra stazioni della metropolitana piene di gallerie e le brulicanti vie di Chinatown riprese da una telecamera a spalla che offre interessantissime inquadrature e soluzioni visive. Il film è inoltre pervaso da numerosi flash di allucinazioni dall'alto valore simbolico (le formiche sui chip, il cervello sui gradini della metro e nel lavabo, l'uomo dalle mani insanguinate...) e da disturbanti sequenze in cui il giovane matematico è dilaniato dalle sue crisi di emicrania molto vicine all'epilessia.

Il criptico finale, oggetto di innumerevoli interpretazioni più o meno valide, rientra di diritto tra le migliori sequenze di ogni tempo, cosi denso di follia e  perverso da suscitare disgusto e fascino insieme nello spettatore. E' un finale negativo o positivo? Realtà o metafora? Ognuno tragga la sua personale conclusione.

Una nota di merito anche alla bellissima colonna sonora, si va da Aphex Twin ai Massive Attack (la meravigliosa "Angel"), passando per Orbital, Clint Mansell e Banco de Gaia: un tappeto di trip hop ed elettronica che rappresenta un sottofondo perfetto all' opera, con il suo essere un po' dark, un po' fiaba metropolitana.

"Pi" è un film su cui non riesco a essere oggettivo. Non un film, ma un viaggio mentale da interpretare e da vivere intensamente, lasciandosi trasportare da ogni singolo fotogramma.

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