L’ispirazione, che sembra esplicita sin dal titolo (tratto da una frase di Martin Luther King a proposito dell’intervento statunitense in Vietnam: “Devono proprio vedere gli Americani come degli strani liberatori” con ovvio richiamo alla storia recente) potrebbe generare l’attesa di suoni e strutture spigolose.

Vicine a quelle che il talentuoso jazzista del New Jersey ha adottato in altre occasioni durante il ricco percorso intrapreso da circa 25 anni.

Un percorso che colloca la sua tromba ai vertici della scena jazz da oltre dieci anni, per qualità e ricchezza di suoni ed ispirazioni. Per l’articolazione di uno stile che si è espresso in ambiti diversi, partendo da collaborazioni quali quelle con Horace Silver, sul finire degli anni ottanta, e poi, nominandone solo alcune, con Tim Berne, Don Byron, Anthony Braxton, Joe Lovano. Trovando anche collocazione nel fenomenale progetto Masada di John Zorn.

Un percorso che rivela l’identità di un musicista le cui solide basi tecniche e l’eccellente cifra stilistica sono spesso al servizio dell’esplorazione di nuovi territori sonori e possibilità espressive, non disdegnando commistioni tra improvvisazione ed elettronica, o la composizione di musica contemporanea.

Ma il disco che sto riascoltando in questi giorni (uscito nel 2004) a dispetto del riferimento contenuto nel titolo, sembra tuttavia prediligere, nell’affrontare un “discorso” le cui implicazioni politiche restano sottese, toni riflessivi ed allusivi, assecondando una personale rilettura del vasto “panorama” nel quale si immerge. Con particolare riferimento all’aureo periodo del Miles Davis dei tardi sessanta, come spesso accade con i lavori licenziati dal suo quintetto. E consente, inoltre, la realizzazione di quello che lo stesso Douglas dichiara essere stato un sogno sin dal finire degli anni ’80: la collaborazione con Bill Frisell.

Così la formazione - Chris Potter (sax tenore, clarinetto basso) James Genus (contrabbasso, basso elettrico) Clarence Penn (batteria, percussioni) - caratterizzato nel suono anche dalla raffinata prestazione fornita da Uri Caine al fender rhodes, incrocia con ottimi risultati la chitarra di Frisell.

Oltre alla qualità dei brani, sempre contraddistinti da un sicuro equilibrio tra composizione ed improvvisazione, in questo caso in favore di una più marcata “accessibilità” non priva di momenti davvero di alta classe, è proprio il perfetto connubio tra le sonorità a segnare l’identità di questo lavoro.

Se la presenza delle corde di Frisell evoca istantaneamente, ad esempio in “Mountains From The Train”, la vasta e a tratti desolata ampiezza di un paesaggio sonoro che rimanda alle sue rilettura del patrimonio americano (ma con una encomiabile misura ed una integrazione perfetta con i partners) la sezione ritmica duttile e puntuale asseconda sia la rarefazione che ne deriva, sia le più articolate trame che, come nell’ottima “Seventeen” il gruppo è in grado di proporre. Spesso, poi, è proprio la calligrafia misurata di Caine a emergere limpidamente come un elemento di ulteriore eleganza, in un lavoro che rilascia un’atmosfera complessiva di leggero straniamento, un crocevia di stati d’animo. Mai spinti sino al parossismo, ma piuttosto indagati con attenzione nei dettagli.

Come nella lunga traccia che da titolo all’album, dalla scrittura distesa e raffinata.

Passando poi dallo struggimento che serpeggia in “Just Say This” (uno dei brani che preferisco) alla pimpante vena quasi swingante di "Rock of Billy", sino al liquido e godibilissimo “cuore Rhodes” di “The Jones”.

L’ultima traccia, “The Catalyst”, è affidata ad una pulsazione funky dal quale emerge, sin dalla splendida apertura, la tromba di Douglas.

Collocandosi sul versante più “accessibile” della sua produzione, Strange Liberation risulta un ottima occasione d’incontro con un musicista che è destinato a lasciare altre significative tracce del proprio passaggio. Tracce che resteranno ben impresse nella storia del jazz di questi anni, come anche il successivo “Mountain Passages”, nel 2005, ha ulteriormente dimostrato.

Ma quello è un altro disco (rso), vero Hal?

Buon ascolto.

Carico i commenti... con calma