Ieri pomeriggio è tornato alla bussare alla porta con una faccia smunta ed insolitamente pallida frutto di diversi giorni di bagordi al buio, ecco perché ha piovuto così tanto, con quella gran zoccola della Luna. Quasi timido, impacciato nei gesti lenti, il Sole mi ha sussurrato con fragili raggi, "posso entrare?". E così, mentre stavo passando il rastrello sulla cascata di foglie cadute ho avuto la sensazione di raccogliere colori: via via più forte e coraggioso ha aumentato in un lampo il contrasto del prato verde come non mai al pari delle infinite sfumature di rosso, giallo e marrone. Profumo di muschio, erba tagliata: ultimi preparativi prima dell'avvento della lunga stagione del bianco. L'autunno intristisce ma mi piace ed è in giornate lente come questa che mi piace ascoltare un buon disco possibilmente poco conosciuto; qualcosa di troppo pesante, veloce o conosciuto rovinerebbe l'atmosfera. Ci vuole un pezzo di plastica che sia melodico, triste, melanconico e che in qualche modo riesca a fare suo quel periodo dell'anno in cui, in modo spettacolare e progressivo, la vita lascia spazio alla morte. Giornate sovente piovose ed uggiose, ma al contempo piene di colori e ricordi.

Rovisto nel magico de-database: scruto quello scaffale che al momento contiene CentoCinquantOtto recensioni e mi domando se reggerà all'imminente ondata di de-opinioni? Non è mia intenzione contribuire ad aumentare lo scricchiolio e al contrario poggio una piuma del colore dell'autunno su un nuovo artista che entra così nel debasio e lo arricchisce: David Ackles. Non vuole disturbare troppo ed infatti il titolo del disco prende proprio il suo nome. E' un cantautore statunitense che personalmente mi ricorda molto Tim Buckley ma prendete con le pinze quanto scrivo perché io sono un ignorante in materia. Il disco del quale vi voglio parlare oggi è del 1968. L'ho trovato per cinque caffè in una bancarella. Che ci crediate o no dopo trenta secondi del primo pezzo, "The Road To Cairo", ero conscio di avere speso molto bene quel pezzo di filigrana. Un crescendo di chitarra, organo e di voce irresistibile con continui rallentamenti per riprendere con forza maggiore la rincorsa fino al finale. E' una melodia malinconica, lenta e potente che mi conquista ogni volta e che mi fa provare quella scossa: i peli delle braccia e delle gambe che si alzano.

Ci sono diversi pezzi nei quali gli strumenti paiono picchiettare sul parabrezza di un'automobile come una fine pioggia. Un accompagnamento essenziale e di classe (organo suonato da Fonfara) alla voce di Ackles che ora racconta, ora canta, strofe di raro impatto. Sfigato tra gli sfigati, nel rapporto talento e successo, sembra non crederci nemmeno lui quando canta "What A Happy Day" mentre tocca il piano; nonostante i suoi trent'anni sembra essere conscio del fatto che il suo tempo non arriverà mai. Le strofa sfuma presto un po' come la sua carriera. No, meglio cercare di trasporre in note lo strazio di un amore al capolinea "When Love Is Gone": delicate sonorità liquide ed eteree che rendono bene l'immagine di un qualcosa che scivola inesorabilmente via. Per sempre. Questo artista aveva un tatto incredibile e sfido chiunque di voi a accostare la delicatezza di "Blue Ribbons" ai disordini razziali scoppiati in una cittadina americana. Nel finale della canzone dopo il finale di strofa "The world is full of lovers / Loving hate and only loving others of their kind" aggiunge un geniale "But maybe they are learning now / Maybe just a few are learning" misto tra falsa speranza e acido sarcasmo. E che dire della matura e struggente e matura "Down River" con con quel finale con chitarre blues che accompagnano l'invettiva contro il tempo che ci fa cambiare, il tempo bastardo che continua a scorrere, lentamente, senza fine. Il disco muore con un pezzo dolcissimo, una supplica sussurrata "Be My Friend" con piano, organo e chitarra a fare l'amore fino al finale in sfumando.

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