Ci sono un sacco di contenuti simbolici in questo film di fantascienza dei registi spagnoli David e Alex Pastor, vincitore di più premi ai Gaudi Awards del 2014 e presentato in anteprima mondiale a Barcellona il 20 marzo 2013.

‘Los Ultimos Dias’ è un film che mette al centro dell’attenzione l’uomo e quelli che sono i suoi limiti e le sue paure e come questi possano diventare dei veri e propri blocchi condizionando la sua vita e impedendogli di compiere delle scelte ‘coraggiose’ nei momenti determinanti. Forse è un film che parla del fatto che non crediamo più in niente, ammesso che questo sia vero, a cominciare da noi stessi e conseguentemente negli altri, e che questa ragione comporta quello che è uno scollamento, una spaccatura grave e critica all’interno del nostro sistema sociale a partire dall’individuo e poi i contesti sociali più o meno ampi in cui questo si muove. La famiglia, il lavoro, la città in cui viviamo, il nostro paese, l'intero continente. Il mondo.

Siamo a Barcellona ai giorni nostri e seguiamo le vicende di un giovane ingegnere informatico, Marc (Quim Gutiérrez), che attraversa un periodo carico di incertezze dovute in larga parte al suo carattere e che tengono la sua vita bloccata su determinati punti. Le cose sembrano peggiorare con l’arrivo del nuovo capo del personale, Enrique (José Coronado), una personalità molto forte e che è stato ingaggiato dalla compagnia con il chiaro scopo di ridurre l’organico in essere. Questo comporta ulteriori pressioni e inquietudini nel ragazzo, che entra chiaramente in crisi, fino al punto in cui la sua relazione con la compagna Julia (Marta Etura) finisce con l'incrinarsi in maniera drammatica a causa delle divergenze tra i due su una questione importante come quella di avere un figlio.

Una mattina i due affrontano l’argomento in maniera particolarmente violenta, litigano, come può succedere a tante persone nel corso della loro quotidianeità e poi si salutano perché lui deve andare a lavoro. Una volta in ufficio Marc, che si sente in colpa nei suoi confronti per averla fatta stare male, le telefona e scopre che lei è incinta, ma non vuole parlarle perché nutre ancora rabbia e risentimento nei suoi confronti. A questo punto abbandona il suo posto di lavoro, una volta tanto incurante delle pressioni che gli vengono messe addosso sul posto di lavoro, per raggiungerla, ma appena uscito fuori si rende conto di non riuscire a respirare nello spazio aperto e faticosamente ripara nuovamente all’interno dell’edificio in cui lavora.

Sta succedendo qualcosa a Barcellona, in Spagna e nel resto del mondo. La vera ragione non è chiara, ma le persone non riescono più ad uscire all’aperto. Quella che all’inizio sembrava solo una specie di fobia collettiva e magari amplificata dalle rivelazioni dei mass media, in pochi giorni si rivela invece una vera catastrofe dalle proporzioni mondiali e che porta alla rovina il mondo e la società in cui viviamo.

La narrazione comincia qualche mese dopo i fatti cui ho accennato, che vengono raccontati con dei flash-back che si susseguono nel corso della prima parte del film. Nel tempo 'presente' Marc si trova da mesi rintanato negli uffici della compagnia della quale era dipendente. Vorrebbe raggiungere Julia, di cui non ha avuto più notizie perché del resto si sono interrotti tutti i sistemi e canali di comunicazione, ma finora non ha avuto il coraggio di uscire e inoltre non saprebbe come fare a raggiungerla neppure viaggiando sotto terra nelle gallerie metropolitane.

Quando scopre tuttavia che proprio Enrique, il capo del personale a quanto pare assunto con la mission di procedere al suo licenziamento, ne possiede uno, stringe un patto con lui e si avventura nell’area suburbana di Barcellona alla ricerca della sua abitazione dove spera di ricongiungersi con Julia.

Sarà un viaggio avventuroso e in una realtà completamente distorta e alterata e in cui gli spazi chiusi e suburbani sono diventati una specie di baraccopoli dove non vige più nessuna regola e l’unica legge che vale è quella della sopravvivenza.

Durante questo viaggio i due, uniti nella durezza del mondo con cui si devono confrontare, avranno modo di diventare inaspettatamente amici e Marc realizzerà che tutto quello che vuole è stare con Julia e essere accanto a lei nel momento in cui lei partorirà. Scoprirà alla fine, quando ha quasi perso completamente ogni speranza, invece di poterci riuscire ma solo lottando contro se stesso e le proprie paure in un atto di estremo confronto con questo diffuso ‘male’ che ha distrutto tutto il mondo in cui viviamo.

Il film - è evidente - marca forte l’accento su quelle che sono le nostre grandi paure, magari quelle più nascoste e di cui ci vergognamo di parlare, che in fondo sono quindi alimentate proprio dal mancato confronto e una mancata condivisione, e in qualche modo, raccontando le vicende del protagonista, ci invita a sfidarle e sfidare noi stessi: letteralmente a uscire fuori per la strada e combattere. Un messaggio che però da una parte ci viene mostrato come il termine di un viaggio rituale e di espiazione spirituale e dall’altro come una specie di vera e propria resistenza, quella che deve essere una dimostrazione di forza e che fa pensare a gesta eroiche e mitologiche come Ulisse che, legato, resiste al canto delle sirene. Nel senso che c’è comunque una prova da superare ma per farlo devi avere forti motivazioni, grande coraggio e anche la giusta spinta (nel caso di Ulisse, la voglia di sapere, sostenuta tuttavia dalla impossibilità di muoversi perché è legato; nel caso di Marc, il grande amore che nutre nei confronti di Julia e quella consapevolezza che a un certo punto non puoi vivere senza di lei) che ti sostenga lungo il cammino.

Potrebbe apparire per come lo ho raccontato, un film che preveda alla fine un caratteristico lieto fine e il finale della storia di per sé non è esattamente drammatico, ma lascia tuttavia spazio a riflessioni ancora più profonde sul significato della vita nella sua interezza e inteso oltre che come relazione tra le persone anche come 'amore' in un senso più ampio e quasi come ultimo baluardo a salvaguardia della specie. In un succedersi alla fine di caratterizzato brevi scene che ci mostrano l’evoluzione delle cose nel corso degli anni, assistiamo a quello che è il miracolo della capacità tipica dell’uomo di rigenerarsi e di migliorarsi generazione dopo generazione. Un messaggio positivo per il futuro definitivamente, ma che per il presente lascia un grosso punto interrogativo e una gigantesca lacuna cui questo film sembra incapace comunque risposte a fronte di questa apocalisse che tutti noi subiamo e che nelle nostre tante solitudini contribuiamo a alimentare e diffondere come un virus letale.

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