Il bisturi che squarcia la carne, fruga tra gli organi interni, recide. Un dolore ostentato, osceno, che ha un sapore di sangue dolciastro, un piacere proibito e per questo irresistibile. Nel futuro l'uomo non sa più provare dolore, è paralizzato nella sua spasmodica ricerca del piacere, che è parimenti sfumato, quasi irraggiungibile. Il nuovo sesso è nella chirurgia, la profanazione dei corpi, che intanto - forse per reazione a questa stasi sensoriale - hanno preso a galoppare sulla strada dell'evoluzione.

Mutazioni inspiegabili, ancora non del tutto comprese nelle loro presunte funzioni fisiologiche. Nuovi organi come opere d'arte. Il governo indaga blandamente, ma l'uomo è animale ludico e deviato, che non si accontenta di accogliere le trasformazioni: ne fa motivo di esibizionismo, quei corpi in tumulto diventano così arte concettuale. Il piacere, il dolore, il sesso, l'arte. Tutto si compenetra in un'esperienza abbacinante, di cui siamo compartecipi come spettatori voyeur che guardano le scene, sbigottiti e sedotti dal dolore che trasuda dalle membra.

Sembra di sentire lo stimolo della lama che apre i muscoli e incide le ossa. Una perversione assoluta, l'ultima frontiera nel mercimonio del corpo. L'arte e il sesso attraverso le mutilazioni, le penetrazioni profonde, perché labbra e organi genitali non sono più sufficienti, serve un pungolo che ci tocchi più nell'intimo per risvegliare gli stimoli nervosi ormai sopiti del genere umano.

Un'umanità che ha perso con il dolore anche la morale, il senso del limite, la dignità. Senza usare scenari futuristici o effetti speciali mirabolanti, Cronenberg costruisce la sua distopia prima di tutto nelle parole dei suoi personaggi. Sembra di stare a un vernissage perverso, dove le parole sembrano quelle di critici d'arte depravati che sono disposti a tutto pur di un brivido. La morte è negata, sottratta, le autorità giudiziarie non credono più alla possibilità di fare del male, che quindi serpeggia liberamente, una forma di estetica come un'altra.

Le macchine del futuro aprono tessuti e sezionano corpi senza lasciare tracce, senza conseguenze. Queste macchine infernali sono i gingilli erotici e gli strumenti dell'artista che offre la sua opera performativa a un pubblico di maniaci. Caprice (Léa Seydoux) taglia l'organo nuovo del suo partner Saul (Viggo Mortensen). Brillante iperbole distopica che trae spunto da esempi del tutto vicini a noi, come la Abramovic, ma scava in realtà in una tendenza psicologica che è ancora sottovalutata oggi. L'esibizione insistita dei corpi, la pornografia imperante, il nudo sempre, il sesso senza più regole: tutto questo non porta le persone a godere di più, ad abbracciare l'eros con entusiasmo. Semmai ne smorza il piacere, perché lo svincola dal dolore, dalla mancanza, dalla proibizione. Senza trasgressione non c'è brivido e non c'è orgasmo.

I corpi consunti, come conchiglie vuote, non provano più niente, sono rottami. Un tema che era stato posto già da Lars Von Trier nel suo Nymphomaniac. Qui si va oltre, alla ricerca di nuovo piacere e nuovo dolore.

Non è finita. Ci si spinge ancora più in là, con l'autopsia di un bambino ucciso dalla madre. Il piccolo mangiava la plastica, si fanno ipotesi sui suoi stupefacenti organi interni. Il padre ne "vende" il corpo per una performance artistica che possa dare risalto alla sua organizzazione segreta. Un perverso perfezionamento del genere umano, un'altra degenerazione o una vera evoluzione? Perché mangiano la plastica?

Con un budget minimo, il regista mette sostanzialmente tutti in riga e spiega come si fa a girare un film che incide nella nostra carne, oltre che violentare le nostre sinapsi. Poi la trama non sarà perfetta, ma poco conta. Le idee e le immagini sono così potenti e conturbanti che sarebbe potuto finire a metà e avrei comunque gridato al miracolo.

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