"Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo! " - Tyler Durden (Brad Pitt)
Dopo l' ottimo e allo stesso tempo amaro "Seven" (1995) David Fincher torna nel 1999 a dirigere l'ormai fidato Brad Pitt in "Fight Club", film tratto dal romanzo del celebre autore Chuck Palahniuk.
Il protagonista (Edward Norton), consulente assicurativo in profonda depressione, cerca di curare i suoi mali frequentando gruppi d'ascolto per persone affette da malattie incurabili, dove incontra Marla Singer (Helena Bonahm Carter), che come lui si finge malata per frequentare queste riunioni e avere caffè gratis.
Durante un viaggio di lavoro però il protagonista incontra Tyler Durden (Brad Pitt), con cui andrà a convivere nel momento in cui perderà la casa in un incendio; i due insieme fondano il fight club che ben presto però diventerà qualcosa di più di una semplice "associazione" per combattimenti clandestini.
In Fight Club la lotta diventa il punto di partenza per arrivare a gettare uno sguardo su una società consumistica, alienante, morbosamente ed eccessivamente legata all'immagine e alle convenzioni; in questa società inserita in uno scenario cupo e quasi opprimente che rende meravigliosamente l'idea che il film vuole esprimere di essa, l'uomo è disposto ad ascoltare la bestia che c'è in lui, a liberarla , e a scivolare nella violenza della lotta semplicemente per sentirsi meglio, per poter ricominciare l'indomani la routine quotidiana senza impazzire.
Il protagonista, interpretato da un'ottimo Edward Norton, capace di non sfigurare condividendo continuamente la scena con un Brad Pitt in stato di grazia, si rende quasi inconsapevolmente conto di come ciò che possedeva stava per possederlo proprio nel momento in cui perde tutto: infatti proprio dopo il rogo del suo appartamento egli trova quella condizione di libertà che lo pone quasi in antitesi ("insieme" a Durden) rispetto alla società in cui si trova a vivere, in quello che potrebbe essere visto come un rapporto di ostilità, uno stato di guerra perenne.
Questo viene presto notato da Marla, ben interpreatata da una mai così "sudicia" Helena Bonahm Carter con cui i "due" approfondiscono il rapporto, e proprio per salvare il rapporto con lei il personaggio di Norton decide di fermare la follia in cui è ormai inevitabilmente degenerato il fight club.
Proprio nella sua seconda metà il film procede infatti con un ritmo sempre più serrato e l'atmosfera che permea il tutto diventa sempre più inquietante, quasi come se Fincher volesse prepararci allo spiazzante finale che ci attende. Il fight club nel film smette presto di essere semplicemente "un panno" capace di assorbire i più bassi e animaleschi istinti di chi lo frequenta, trasformandosi in un entità quasi dotata di vita propria, capace di sfuggire al controllo del proprio stesso creatore.
Quasi al ritmo dei monologhi di un Tyler Durden sempre più compiaciuto della sua follia e sempre più a suo agio nel ruolo di leader carismatico assunto nel fight club (ribattezzato Progetto Mayhem), il film assume connotati sempre più malati, disperati, distruttivi e nichilisti, come se procedesse di pari passo con l'ideale del suo protagonista; un ideale che non propone un sistema di valori alternativo a quello che vuole distruggere, ma che ha semplicemente il fine di ricordare all'uomo di non essere altro che la canticchiante e danzante merda del mondo, per portarlo a quello che si potrebbe definire un utopistico "stato di natura".
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