Frastornato. Per questo scrivo queste righe, per condividere un po’ di disorientamento, come dopo una lunga conversazione con una persona che non ci sta tanto con la testa e sei stanco e hai bisogno di parlarne con qualcuno, di questa conversazione, magari ti senti meglio, anche se è stata una lunga conversazione interessante e a tratti divertente. Perché questo essenzialmente cercavo nella “scopa del sistema” , dopo essere passato da “Infinite Jest”, da “considera l’Aragosta”, da “una cosa divertente che non rifarò mai più” e da 100 pagine che ho trovato francamente indigeribili del “Re pallido”. Vi lascio solo alcune suggestioni, evitando di farla troppo puzzolente (forse, a pensarci bene, a questo ci ha già pensato l’autore) :

Divertimento : C’E’. L’ironia di DFW è sottile e sofisticata, talvolta cattiva (soprattutto se rivolta verso se stesso), ti permette di digerire la prolissità del racconto, il suo divagare, è il premio per essere riuscito a non mollare la presa e ad avere accolto la sfida dell’autore nel seguirlo in periodi lunghi, contorti, ricchi di neologismi, compiaciuti della propria bravura nel governare una sintassi in tempesta. La sua fantasia è debordante, potente, cinematografica.

Trama : NON C’E’. Come in infinite Jest la trama è un pretesto per godere della penna di DFW. Spesso ti chiedi dove vuole andare a parare. Quando tutto sembra stia per chiarirsi tutto diventa più oscuro, e tu vai avanti sentendoti preso in giro, ma è un giro piacevole, una conversazione con un matto, ma un matto piacevole, divertente, interessante e che alla fine forse così matto non è. O forse sei te a non essere così sano di mente, perlomeno non quanto pretenderesti di essere, e lo hai capito grazie a lui. Nella lettura di questo libro mi sono venuti in mente immagini di film come “Brasil” di Gilliam, o Inland empire, di Linch, film che per qualche motivo ti agganciano nonostante siano il parto di una mente evidentemente provata (o troppo lucida). Mi viene in mente qualche racconto di Carver, anzi di non racconto, perchè qui come li si vive spesso una sensazione di sospensione, di preoccupata attesa di un significato che non arriva. Termini come surreale o grottesco vengono in mente con altrettanta frequenza.

Il titolo : del cazzo, diciamocelo. Ma a che fare con uno dei temi filosofici del libro, riguardante il collegamento tra funzione e significato (della vita), un titolo che suggerisce una chiave di lettura del carosello di personaggi e situazioni messo in piedi dall’autore. Oltre non so andare …

Psichiatria : al di la di come è andata a finire era evidente, mi ripeto, che qualcosa già a 24 anni non andava nel nostro amico, che scrive con enorme proprietà di linguaggio un lungo delirio febbrile senza capo ne coda. Non è solo sfoggio di abilità letteraria, di cultura filosofica, di ironia sofisticata. È anche e soprattutto necessità di parlare di se, delle proprie profonde insicurezze, di quel senso di inadeguatezza che sembra la matrice in cui chi più chi meno navigano tutti quanti gli allucinati personaggi del racconto, primo fra tutti quello di Rick, nei confronti del quale l’autore (che tendo a pensare lo abbia scelto come alter ego) spesso rivolge lo sguardo più severo e spietato . Menzione a parte merita Jay, il falso psichiatra che ha in cura i protagonisti, di cui DFW si prende gioco con un livore un po’ sospetto (probabilmente le sue esperienze in materia non dovevano averlo entusiasmato).

Intelligenza : anche in questo caso, come nei precedenti, la lettura del libro ha il non trascurabile vantaggio di farti sentire intelligente, arguto, sottile e nelle conversazioni più impegnative può essere tranquillamente utilizzata per sottolineare la caratura intellettuale del lettore. Non è un vantaggio da trascurare. Ah, dovete finirlo, sennò non vale …

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