Il perno su cui ruota la sostanza del film è l'importanza dei valori umani, specie se sapientemente irrorati. Tralasciando la prevedibilità di epiche scene belliche, David Lean incentra il contenuto dell'opera sul contrasto emozionale di tre uomini che, grazie all'indimenticabile Faber avrebbero ...lo stesso, identico umore, ma la divisa di un altro colore...
Il primo, Colonnello Nicholson, (un superlativo Alec Guinness baciato dall'Oscar) ufficiale inglese, prigioniero, uomo preciso, saggio, ligio al dovere e alle leggi militari e non. Il secondo, il rivale di forza maggiore, Colonnello Saito, (il bravissimo Sessue Hayakawa) ufficiale giapponese, comandante del campo, arrogante, dal piglio dispotico e non proprio ottemperante al regolamento previsto. L'ultimo, il Maggiore Shears, (un troppo enfatico William Holden) dell'esercito degli Stati Uniti, prigioniero di lungo corso nel campo di Saito. In realtà sarebbe un soldato di truppa, scaltro e spesso soggetto alla paraculite, malattia facilmente trasmissibile di cui preferisce volentieri le infezioni. Avrebbe indebitamente rivestito il grado superiore per beneficiare del trattamento "privilegiato" di un ufficiale prigioniero di guerra. Peccato che gli si ritorcerà contro nel momento sbagliato.
La compitezza di Nicholson si scontrerà presto con la figura brutale del Colonnello Saito, che tenterà di negare ogni diritto ai prigionieri, previsti, tra l'altro, dalla Convenzione di Ginevra con cui il primo si difende. Il documento de quo non prevede lo sfruttamento degli ufficiali prigionieri in mansioni lavorative, ma Saito, al testo inviso, non perderà tempo ad infliggere forme di tortura nel tentativo di "persuadere" i riluttanti. Nulla nuoce alla personalità granitica di Nicholson disposto a morire ma non a cedere. La calma è la virtù dei forti e tale saggezza, in maniera molto efficace si evidenzia in quest'opera.
L'anniversario della vittoria dei giapponesi sui russi nel 1905, fungerà da pretesto per dissimulare lo stato d'animo di Saito costretto a soccombere. Memorabile e da un punto di vista sentimentale, toccante, la scena in cui quest'ultimo, espugnato nell'orgoglio, impotente di fronte all'integrità morale del "nemico", all'oscuro di occhi che possano ammirarlo con soddisfazione, cerca invano di trattenere la rabbia ribollente in corpo, tremando e serrando i pugni fino a far impallidire le nocche. Lo sfogo si dissolverà in un pianto nervoso.
La costruzione del ponte, grazie all'inettitudine di un tecnico in uniforme giapponese, procede malissimo e con poche possibilità di conoscere il termine dei lavori. Dal momento che è preferibile farsi gli amici in tempo di pace perché potrebbero risultare utili in tempo di guerra, il Colonnello Saito, deposto saggiamente dal ruolo di carnefice, arriva a collaborare con l'antagonista inglese, ben più preparato, che dispone tra l'altro di validi ingegneri che porterebbero a compimento l'opera nei tempi prefissati. Nessun rancore verso colui che lo aveva appena finito di torturare, anzi. Una intelligente sorta di rivalsa nella dimostrazione che gli inglesi, seppur prigionieri e privati di condizioni ottimali, sono ben più capaci dei nipponici almeno nella qualificazione di una struttura architettonica. Uomini come Nicholson migliorerebbero il mondo.
Il geniale regista inglese, con quest'interessante denuncia sulle follie a vario titolo di cui si macchia una guerra, dà inizio ad una serie di capolavori che ne consacreranno il talento. Lean mostra allo spettatore delle immagini estremamente suggestive, grazie anche ad una fotografia brillante che preferisce inquadrature ad ampio raggio, atte ad esibire, donando una giusta dose di protagonismo, anche le figure in secondo piano o sugli sfondi che altrimenti risulterebbero ininfluenti. Questa è una prerogativa che imporrà nei due kolossal girati in seguito, ossia "Lawrence d'Arabia" e "Il dottor Zivago".
Validi esempi si notano nella sequenza della costruzione del ponte sotto la direzione scalcinata del Tenente Miura, con i soldati in acqua che controllano le varie pendenze e in quella, simpaticissima, della catena di montaggio vocale quando Nicholson chiede a Saito la possibilità di sorbire un the e mettere qualcosa sotto le gengive. Inutile dire qualcosa sulla imponente scena finale, definita, nella realtà e nella fantasia dallo scandire reiterato e incredulo del termine "Follia!". Lean, per rendere enorme lo spettacolo, incaricò una ditta danese per la costruzione di un vero ponte in legno e legacci sull'Isola di Ceylon. Follia nel film per ciò che non posso rivelare e anche dietro le quinte, per un motivo che fa capire quanto può costare un film.
In ultimo la colonna sonora, imbastita da Malcolm Arnold con un'alzata di genio veramente notevole. Il commento musicale passerebbe in sordina se non fosse per un pezzo di Kenneth Arold arrangiato e riproposto da Mitch Miller, che rende il film, a dir poco, indimenticabile. Chi non conosce la Colonel Bogey March fischiettata dai soldati inglesi all'arrivo al campo? Chi ci crederebbe a qualche centinaio di soldati cotti dal sole, con le scarpe rabberciate e qualche straccio lacerato appiccicato sulla pelle, che mandano a farsi friggere la sventura della prigionia di guerra con quel brillante motivo?
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