Già due anni fa l'uscita di "Blemish" per la neonata (e da lui stesso fondata) Samadhi Sound aveva diviso per l'ennesima volta il folto seguito di questo artista, forse l'ultimo rimasto sul pianeta al quale è impossibile affibbiare qualsivoglia etichetta.
La continua maturazione di David Sylvian come artista e come uomo mi lascia costantemente sbalordito. Ascoltando "Good son vs. the Only Daughter" mi rendo definitivamente conto di quanto possano essere stati ciechi e sordi i produttori della Virgin che se lo sono lasciato sfuggire subito dopo l'uscita, nel 2002, dello spettacolare ed etereo "Camphor", evidentemente così distante dal concetto di "capolavoro" che purtroppo molti discografici identificano con il primo posto in classifica.
Se in "Blemish" si era arrivati al minimalismo estremo, figlio anche dell'incontro fra Sylvian e un altro uomo che sembra uscito da un film di fantascienza, cioè Christian Fennesz, nell'ultima fatica dell'artista britannico, che poi altro non è se non le canzoni del disco precedente remixate da un manipolo di dj giapponesi vicini a Ryuichi Sakamoto (e quindi allo stesso Sylvian) si può vedere, nitida come una ferita aperta, la disarmante scioltezza con cui quest'uomo sembra aver capito tutto sempre con 15-20 anni di anticipo rispetto al resto del mondo.
Sospensione, senso di vuoto, melodie al limite dell'orecchiabilità, e testi che più che da un essere umano sembrano costantemente sputati da un oracolo, il tutto unito all'ottimo lavoro svolto dai dj del Sol Levante (su cui non ho dubbi che ci sia stata la medianica sorveglianza dello stesso Sylvian) fanno di questo disco un lavoro che venderà circa 10.000 copie, ma che in diversi angoli del mondo renderà amaramente consapevoli della caducità della vita circa 10.000 persone, portandole con sè su quella nuvola assurta a eremo sulla quale ormai da anni David Sylvian, la sua guru e una ristrettissima cerchia di geni (Sakamoto e Fripp in testa) fluttuano inesorabili, pronti saltuariamente a fornirci piogge acide ma che hanno il potere ormai quasi estinto di farci riflettere dal primo all'ultimo secondo di ascolto.
Brano migliore: How little we need to be happy (remixed by Tatsuhiko Asano).
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