Quasi sempre finisco per giudicare, nel bene e nel male, i libri dalla copertina, e ovviamente non parlo (solo) di libri.

Va da sé che l’esordio dei Death Cab For Cutie (A.D. 1998), per quanto scritto poco sopra, non poteva che essere ascolto gradito.

Sullo sfondo di un azzurro irrealisticamente terso, un ovale bianco racchiude un barca a remi stilizzata. Tutte le lettere volutamente in minuscolo, quasi ad esprimere una tendenza all'introversione.

“Something About Airplanes” è pura estetica nineties, con un suono rappresentativo della loro area di provenienza, quel Pacific North-West che tante gemme musicali ha regalato in quegli anni.

Produzione semi lo-fi per un album ricco anche di spunti incredibilmente pop (“President of What?”, che ricorda a tratti gli Eels). Come molti dischi d’esordio anche “SAA” vive di influenze differenti: è così che “Champagne From A Paper Cup”, dal sapore smithiano (Elliott, ndr), è seguita da “Your Bruise”, che comincia con arpeggi slowcore (simili a quelli della sesta traccia “Sleep Spent”) per poi evolversi in maniera più dinamica.

Non mancano poi melodie più pulite, sia figlie di un rock in parte più tradizionale (vedi “Pictures In An Exhibition”), sia vicine a sonorità più sognanti (“Amputations”, che per certi versi ricorda i Mercury Rev). Efficaci anche gli interventi di violoncello, che arricchiscono con toni agrodolci “Bend To Squares” e “The Face That Launched 1000 Shits”.

Ben Gibbard e Chris Walla (voce, chitarra e songwriter principale il primo, chitarrista, produttore e co-autore il secondo) riescono a rendere delicate le trame distorte e riverberate delle loro chitarre elettriche, in maniera del tutto simile ai vicini Built To Spill.

La splendida ballata post-rock “Line Of Best Fit”, con una delicata voce femminile e una coda finale simil-psichedelica, chiude un disco certamente minore rispetto ad altri capolavori coevi, tuttavia ingiustamente sottovalutato e consigliato vivamente agli amanti del genere.

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