La qualità delle performance pianistiche di Deca si è elevata col passare del tempo e ne è la prova questo concerto quasi estemporaneo alla Feltrinelli di piazza Duomo a Milano. Dove il compositore ligure ha proposto un'ora di "solo piano" emozionando la platea con i suoi brani intimisti ed evocativi, padroneggiando la tastiera con un tocco massimamente espressivo, dimostrando di non aver nulla da invidiare ai più recenti fenomeni del mercato musicale italiano (vedi i vari Einaudi, Allevi, ecc.). Anzi, accostare Deca a questi ultimi svilirebbe la cifra stilistica della sua musica, considerando che è più imparentata con artisti del livello di Satie, Mertens, Glass.

Un'ora di grande musica, dunque, in parte tratta dal suo album "Isole invisibili" del 2017, in parte inedita, in parte totalmente improvvisata (come indica il titolo dell'esibizione, del resto). Agile con le mani, umile nell'approccio col pubblico, il pianista incanta per profondità espressiva, regalando quadri impressionisti che sono piccole narrazioni - a volte della durata di neanche due minuti - o piccoli voli onirici. Una cascata di note e di accordi che riempiono lo spazio non facile della grande libreria milanese, certo il luogo non perfetto per mantenere la concentrazione. Classici come "Penombre" e "Primo preludio" si alternano romanticamente a pezzi che sfiorano sentori psichedelici, ma anche jazzistici; dimostrando ancora una volta quanto sia eclettico, versatile e preparato questo musicista.

Alla fine lui saluta, ringrazia con quei suoi modi dimessi, di uno che è lì per caso e che spera di non aver deluso le aspettative. Applausi sinceri e spettatori che si avvicinano con gli occhi lucidi per tributargli apprezzamenti.

Di Deca si è scritto molto a proposito della sua lunga e variegata discografia elettronica e sperimentale, delle sue colonne sonore trasversali. Certo la sua vena pianistica è sconosciuta ai più e solo nell'ultimo anno si è manifestata al pubblico con un grande disco e una serie di concerti lungo la penisola. Certo è più difficile distinguerne la bravura, qui, perché il pianoforte ha quel suono che è uguale per tutti. Ma chi ha orecchio per intendere, sente le sfumature, il tocco, lo spessore delle idee, il folto background culturale di questo artista nostrano. E allora va a sentire Deca, non Einaudi.

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