E se un giorno vi venisse voglia di riscrivere tutto il Brutal Death Metal? E su un giorno vi svegliaste con nulla da fare se non prendere una chitarra in mano e iniziare a comporre canzoni insensate ma millimetricamente precise? E se domani le leggi della fisica cambiassero e ci trovassimo in un mondo non Euclideo (povero Hume!)? So che non dovrei iniziare una recensione con una raffica di domande e so anche perfettamente che tirare fuori dissertazioni matematico filosofiche per introdurre un gruppo Brutal Death verrà additato dai solito quattro rompipalle come la più grande esagerazione recensorea mai vista. Ma io sono un metallaro e quindi me ne sbatto e replico, in maniera molto metallara, che avranno qualche diritto di parlar il giorno in cui impareranno a suonare come questi qua. Come è bello essere metallari, si riesce a mettere a tacere la gente usando espedienti che eludono completamente la logica. Un po' come la storia del cane e delle tre galline.

Mi è bastato sentire una canzone per capire che questo disco doveva assolutamente essere mio: il motivo è molto semplice, non avevo mai sentito nulla di simile. Considerato che ascolto una grande quantità di musica, ho stabilito che qualunque cosa riesca ancora a stupirmi merita tutta la mia attenzione.

I Decaying Form sono un duo australiano (Thomas: chitarra e voce, Linton: batteria) che, prima di pubblicare questo album per la spagnola Dan's Crypt Records, ha dato alle stampe solo la Demo "1921". Nonostante possa sembrare strano questo è un disco d'esordio; tuttavia ci tengo a precisare che i nostri non sono dei debuttanti in assoluto e sono anche membri di Corpse Carving e Cranial Devourment (due nomi che di sicuro non vi diranno nulla).

Qualsiasi idea di Brutal Death abbiate in mente, da quello Floridiano a quello Newyorchese passando per quello Californiano e lo Slam, va di sicuro aggiornata nel momento in cui vi troviate di fronte ai Decaying Form. L'unico gruppo che mi viene da citare anche se di sicuro non renderebbe l'idea sono niente meno che i Cephalic Carnage. Rispetto a questi ultimi, la proposta della coppia risulta meno psichedelica e si allontana di meno dal Metal. Non per questo è però da considerarsi meno allucinante: ascoltare per intero questo disco equivale a farsi un gran bel cocktail di codeina, ansiolitici e Whisky.

Il booklet, veramente ridotto all'osso da un budget di sicuro esiguo, fa saltare all'occhio dei titoli assolutamente schizoidi e privi di senso, tutti composti da due semi proposizioni separate dai due punti ("Putridity In Disarray: With Ruin Comes Rotting", "Worming Existence: A Masticating Monstrosity"). Ma l'ilarità suscitata da questi improbabili quanto strampalati titoli, viene subito spezzata quando si fa partire il cd. La stessa incocludente complessità dei titoli la si ritrova musicata nelle canzoni. I riff non hanno ne capo ne coda e si interrompono quando non dovrebbero interrompersi, quando finalmente riescono a prendere un ritmo e ci si aspetta che non finiscano. Riflettendo su una metafora che potesse rendere l'idea, non mi è venuto in mente altro se non l'immagine di uno zoppo che corra: non si sa come faccia ma lo fa, in maniera scomposta e scoordinata. Scale dai suoni alienanti, continuamente inseguite da altre, sono interrotte da riff incazzatissimi che subito si stemperano in una colata di accordi psicotropi: poi il silenzio. Uno, due secondi, di silenzio in cui l'ascoltatore fa tempo a domandarsi se la canzone sia finita o se i nostri stiano di nuovo giocando. Quindi ecco la conferma che i due, dall'altra parte del mondo, se la stanno ridendo della grossa: il pezzo rincomincia, senza nemmeno riallacciarsi al tempo con il quale si era interrotto. Magari un'accelerazione, magari invece una rallentamento che non si sviluppa nemmeno per due battute. I Decaying Form giocano con il Brutal Death e giocano con la musica: hanno deciso a tavolino di buttara all'aria tutto in modo sistematico. Come se mettessero di proposito lo zucchero nel barattolo del sale e viceversa. Ed ecco allora nascere vere e proprie distorsioni musicali: breakdown che non hanno ritmo, accelerazioni che muiono appena incominciano, finali di canzone che continuano all'infinito e rallentamenti molesti, messi dove non dovrebbero stare. E il drumming? Siccome non credo che vi basta sapere che il batterista suona anche in un gruppo Progressive e siccome non ho mai sentito niente di simile, scenderò nel dettaglio. Poco rilevanti i Blast Beat; d'altra parte non c'è nessun riff abbastanza lungo da accompagnare. I Blast vagamente "sensati" sono interrotti a metà, o anche prima di metà, affogati in rullate che starebbero meglio in un assolo che non in una canzone. Quindi inizia la serie di tempi dispari che non si fa nemmeno in tempo ad individuare tanto cambiano rapidamente; l'unica cosa certa è che bisogna dimenticare i quattro quarti nel momento stesso in cui si decide di ascoltare "Chronicles Of Decimation". Stop and Go praticamente continui sono la caratteristica principale di quest'album. E quando dico "continui", intendo dire che ce ne sono almeno quattro ogni minuto tanto che le composizioni sembrano in realtà essere le scehgge di un piatto rotto, perfettamente combacianti ma totalmente inservibili. Controtempi assurdi, colpi sul rullante omessi e un uso dei piatti veramente creativo fanno di questo ragazzo uno dei migliori batteristi che mi sia capitato di sentire ultimamente. Ma se ho dato il massimo dei voti a questo album significa che non manca proprio nulla: anche il Mood, per quanto possa essere strano, riesce a venir fuori. La stessa irrequieta follia di queste canzoni viene passata all'ascoltatore che, nel giro di pochi minuti, si ritrova completamente narcotizzato in una realtà deforme. Lo spazio per la violenza è poco e serve semplicemente a fare aumentare la pressione e a ottimizzare il feeling lisergico di questo disco. Questo è reso possibile anche grazie ad una produzione che privilegia i toni medi e da un particolare suono "effervescente" alla chitarra e uno molto secco alla batteria. Fa sorridere pensare che musicisti cosi in gamba siano riusciti a comporre musica tanto complessa praticamente per gioco, sciuri del totale insucesso della loro proposta. La critica se ne frega, i fan anche e le vendite sono sotto zero; troppo illogici per l'Homo (in)Sapiens Brutallarensis, troppo violenti per i più tranquilli fan del Progressive e per i raffinati Jazzisti, gli uniciche potrebbero essere in grado di apprezzare un lavoro così snervante e complesso. Devo ammettere che sulle prime è praticamente impossibile ascoltarlo con attenzione; per un discreto numero di ascolti si è talmente sbaccaliti che passa la voglia di mettersi di impegno per capire cosa fanno questi due tizi. Dieci canzoni per mezz'ora di farneticazioni musicate: chiunque commenti "Chronicles Of Decimation" prima di averlo sentito può ritenersi automaticamente nominato per il concorso "Babbo di minkia® 2008".

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