Mentre Perry Farrell e Stephen Perkins stavano passando all'incasso col primo, deludente album dei Porno for Pyros, gli altri due reduci dalla diaspora dei Jane's Addiction - il chitarrista Dave Navarro e il bassista Eric Avery - misero su un complesso progetto musicale chiamato Deconstruction, assieme al batterista Mike Murphy. L'idea dei due musicisti losangelini fu quella di dilatare le intuizioni wave-lisergiche del capolavoro "Ritual de lo habitual" e incanalarle in un lavoro ambizioso, in grado di riflettere le più brillanti sfaccettature del diamante Jane's addiction in un delirio barocco, degno erede della più autentica psichedelia californiana.
Eric Avery fu il principale artefice del gruppo, prendendosi carico anche delle parti vocali. Tormentato personaggio, geniale architetto di stordenti linee di basso che esaltavano l'aspetto più intellettuale della musica di Jane, Eric trovò tra questi solchi l'occasione, essendosi finalmente svincolato dal dispotico giogo di Perry Farrell,  per liberare la sua anima artistica, le sue inquietudini da junkie in musica vivida e senza compromessi. "Deconstruction" è infatti opera bizantina, con molti brani dal minutaggio eccessivo ma mai sfiancanti: la pesantezza concettuale dei Pink Floyd e dei Joy Division si sublima e si scioglie sulle onde antistanti Big Sur.
Dave Navarro fu il compagno ideale per questa avventura. Il talento del chitarrista di origine ispanica non era ancora stato incrinato da un eccesso di egocentrismo e glamour pacchiano come ai giorni nostri: nel 1994 egli era il miglior axe-man al mondo, in grado di trascrivere in fiammate da manuale e ghirigori divini i suoi demoni, sbattendosene delle sirene del music biz (aveva rifiutato l'offerta di Axl Rose in persona di entrare nei GNR).  
In questo lavoro Navarro fa mirabilie, ampliando il discorso di brani di Jane quali "Obvious": disegnando orizzonti oceanici favolosi, pregni di un suono opulento ed essenziale allo stesso tempo, stratificando wave, psichedelia e hard in un colpo solo, suonando per l'ultima volta in carriera da Dio.

"L.A. Song" apre il disco alla grande. Limpidi arpeggi di Navarro accompagnano il talk-over emotivo di Avery, per poi sfociare in un vortice funky  impetuoso, fino a quando l'Ibanez di Dave si libra maestosa sull'Oceano Pacifico, come se facesse surf sullo sfondo di un cielo cristallino.
Il fulcro dell'album sta in lunghe composizioni come "Singles", "One", "Wait for history" e "Fire in the hole", giocate sugli intrecci tra il basso hookiano di Avery e le intuizioni di Navarro, ora rarefatte ora allucinogene. Specialmente il blues apocalittico di "Fire in the hole" è un classico: con la voce di Farrell e la  levigata produzione di Dave Jerden sarebbe stato un potenziale hit alla "Mountain song". I momenti di maggiore impeto riconducibili al passato si trovano in "Hope", "America" e "Dirge", in cui leghe stilistiche di matrice hard e funk si trasfigurano presto verso onirici lidi. L'urgenza dei Jane's Addiction è un ricordo, soprattutto nel cantato di Avery, certamente non espressivo come quello di Farrell: ma ispirazione, bellezza e immaginazione tra questi solchi non sono certamente inferiori, e costituiscono l'inevitabile sbocco di quella esperienza. Eccezionale in tal senso è la complessa "Big sur", una "Three days" spogliata dello spiritualismo freak- decadente  farrelliano, ma ugualmente spettacolare nel presentare soluzioni chitarristiche eteree, mentre Navarro prende il microfono al grido di "Gone are the dusty gods of duck and cover drills/  gone are the dusty gods of echo cathedrals".
Non mancano anche momenti di attenzione verso nuove sonorità, ad esempio i sapori quasi hip-hop/industrial della claustrofobica "Get at ‘em", mentre lo strumentale "Iris" regala 5 minuti  di assoluta estasi, con inusitati echi shoegaze alla My Bloody Valentine che intarsiano le partiture di Navarro. Struggente è infine la ballata "Son", spettrale ed algida confessione chimica di Eric: benché composta nel suo cottage a Big Sur, risuona di sinistri echi nordici zeppeliniani, a siderale distanza dalla solarità della band madre.

In definitiva un grande disco, il miglior lascito dell'irripetibile epopea di Jane's Addiction. Rimasto purtroppo isolato, in quanto Navarro alla fine si lasciò tentare dai Peppers per sostituire John Frusciante ed Avery iniziò un vagabondaggio artistico che perdura ai giorni nostri. Niente sarebbe rimasto come prima: e quest'album è la perfetta istantanea di un'epoca che volgeva al termine.

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