La felicità che accompagna ogni nuova uscita dei Deerhoof è quella inerme dell’infanzia nell’approccio alle giostre, dove sai in anticipo che ti divertirai un mondo riempendoti di dolciumi e tornando con un paio di carie a casa.
In 15 anni di carriera e con 10 album alle spalle sono tra le poche band che hanno saputo distinguersi con un proprio marchio inconfondibile, senza essere autoreferenziali e senza mai cadere nella monotonia. In parole povere hanno stile, hanno personalità e una personale attitudine alla musica, anche per questo il gruppo di San Francisco ha, e mantiene come pochi, una base di seguaci del culto inseparabile nel tempo. Se vi sforzate di guardare sul loro wikipedia scoprirete per quanti artisti sia stata importante l’influenza dei Deerhoof .
Ma veniamo a quest’ultima uscita dove i quattro (al terzetto si è aggiunto il chitarrista Ed Rodriguez nel 2008) sfidano il diavolo. Che dire, tutto è così magnificamente bello, con quell’umiltà proletaria, quella docile grazia che li distingue. Creatività e guizzi esplosivi con un’anarchica propensione alla melodia. Semplicità d’intenti e soluzioni spesso frivole ci regalano l’essenza dei Deerhoof: sono dei fanciulli che si divertono come quando erano teenagers, non la smettono di prendersi poco sul serio. Certo l’acqua sotto i ponti passa ed è inevitabile qualche cambiamento, troviamo più irriverenza pop a scapito di sperimentazione selvaggia, qualche tamarrata sintetica qua e là ma è giusto che sia così, nella naturale evoluzione verso lidi più quieti e se vogliamo scontati è un bene più che un male, visto che con Friend Opportunity (2006) s’intravedeva uno spiraglio di sclerotizzazione.
Quello che spiazza (ma neanche troppo) è il tanto Giappone, a sottolineare la paternità Matsuzaki delle composizioni. La prima parte varia tra pop sbilenchi e inquieti, tra campanacci, dissolvenze diaboliche, chitarre asciutte che si cimentano in arpeggi improbabili.
“Behold a Marvel in the Darkness” potrebbe essere la sigla di un programma tv giapponese, salvo poi evolvere nelle classiche chitarre acide e la pioggia del drumming due pezzi del granitico Greg Saunier, finendo nella trama dark del basso di Satomi. In “Merry Barracks” delle chitarre scalpitanti sono tenute a freno dal lento incedere di Saunier, irresistibile impotenza. Pezzi come “Must Fight Current” e specie “No One Asked to Dance” rischiano l’eresia per i “tradizionalisti” ma finiscono col risultare aggraziati nella loro molle incertezza. E via altre lezioni di stile: “Super Duper Rescue Heads!”, “Secret Mobilization” a tratti Bloodhound Gang e “I Did Crimes for You”, nella quale in 3 minuti cambiano paesaggi una decina di volte. Niente male neppure il pacato saluto finale di “Almost Everyone, Almost Always”, scimmiottante gli Enon (presunti defunti).
Nulla da temere, i Deerhoof sono rimasti genuini oltre che parecchio diabolici.
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