Come si sa, oltre che grandi consumatori di musica, i giapponesi sono un popolo sufficientemente bizzarro, e non parrebbe perciò strana una versione nipponica di DeBaser.

Se così fosse, sono sicuro che Degurutieni ne farebbe parte, e anzi potrebbe esserne uno dei fomentatori. Mezzo ubriaco, saturerebbe un ipotetico gruppo di kamikaze cazzari/VDM con qualsiasi cosa gli passasse per la mente di ascoltare, senza il problema o il dispiacere di apparire organico o coerente.

Perché? Il Nostro (sperando che un po’ nostro diventi davvero... Però se dipende da me, nello specifico, allora, caro Alco -lui di nome fa Alco, anche se dice “Arco” perché è giapponese, Lui- non ti posso garantire risultati) viene al mondo presumibilmente nel 1967 ad Osaka, più precisamente nel delizioso contesto del ghetto di Nishinari, dove disoccupazione, malessere sociale e criminalità si concentrano più dello zucchero nella meringa, e dove Alco si sciroppa tutti gli anni settanta circondato dal comfort di risse, sparatorie, rivolte, regolamenti di conti tra Mafia Yakuza e chi le pareva, potendosi eventualmente corroborare nei casini del distretto a luci rosse di Tobita Shinchi.

Questo social-mix, a parte farlo crescere forte e sano e con una conclamata e candidamente ammessa sindrome di Peter Pan (questa teniamola presente per dopo) non gli impedisce, ancor fanciullo, di appassionarsi così tanto di musica da passare la maggior parte delle sue giornate randage in un negozio di dischi (la funzione sociale dei negozi di dischi) diventandone il cliente più affezionato e assorbendo qualsiasi influenza, fosse pop o Industrial.

Proprio come per tanti nel mondo tutto, a furia di ascoltare ad uno viene anche voglia di fare. E siccome la gran parte dell’investimento in Passione riguardava i dischi, Alco si ingegna a cercare nella spazzatura, o in qualche cascame di esproprio sub-proletario Made in Japan d’époque, strumenti giocattolo che modifica, oggetti suonabili, un Tascam scassato e chissà se proveniente da qualche ricettatore mascherato da musicista, pltre a varie altre carrette a cui peraltro rimarrà sempre affezionato.

Rabberciata così l’attrezzatura, attorno al 1983 inizia ad esplorare le proprie possibilità creative “facendosi” letteralmente le sue cassette, copertina inclusa, e, via via che diventa più disinvolto e che la tecnologia evolve (!) approda al classico cd-rom, da fervente discepolo del DIY.

Quando si dice che la necessità è madre dell’invenzione…

E di necessità fa virtù quest’uomo segaligno e piccolo di statura, spesso in camicia bianca e cravatta nera, che si autoproduce sei lavori oltre a questo, cinque dei quali sono stampe private e quindi virtualmente impossibili da reperire.

L’unico, oltre a Dark Mondo, ad essere stato pubblicato (nel 2006, dalla giapponese LD&K Records) e a giovarsi di una regolare sebbene carbonara distribuzione, porta il meraviglioso nome di Iguana Twiggy Pop. Purtroppo è un lavoro prono al suo ingombrante modello, con una timidezza che ne annulla il potenziale, riducendolo ad un simulacro poco avvincente.

Poco più di una curiosità, che non può vantare la stessa freschezza del lavoro di cui voglio parlare, dopo un’interminabile introduzione che mi piace pensare sia giustificata dalla necessità di inquadrare un musicista poco conosciuto, che non si potrebbe definire originale, ma personale sì!

Dark Mondo, ironicamente (siamo a dicembre 2020) sottotitolato frightening music for scared people, possiede effettivamente una qualche qualità spaventevole, ma è tutta una burla. Forse. L’inizio, in sordina, fatto di un minuto circa di sega e di tastiera che emula come può un glockenspiel e poco altro, non chiarisce ancora che il nume tutelare di Degurutieni è Tom Waits, nientemeno.

Zio Tom, quello più surreale, si appalesa nel momento in cui Alco informa della sua voce mannara tutto il resto del disco, spaventosamente coeso per essere un’antologia della sua produzione degli ultimi dieci anni. Una voce assolutamente identica a quella del nostro idolo ex-sbandato alcolista, con in più una caratteristica beefhartiana (che poi, sai la differenza...) lascia quasi a bocca aperta per quanto il tutto sembrerebbe a prima vista troppo forzato per essere vero.

E invece, il disco sale di quota quasi subito, e c’è un incredibile corpus centrale di sei pezzi. Da “Can’t Delete Nightmares”, dove una chitarrina fantasmatica, che sembrerebbe perfetta per il Mickey Mouse sinistro di vecchissimi cartoni, prova ad esorcizzare gli incubi dell’infanzia e ti fa iniziare il viaggio di cui hai bisogno proprio in un sabato notte, quando ciò che doveva terminare è terminato e decidi che andrà benissimo fare il belluino, pronto ad imbatterti in chissà chi e sperimentare chissà cosa, tutto compreso.

Ti ritrovi subito dopo a “Shangai”, dentro un 4/4 rappato da Alco con la giusta dose di catarro nelle corde vocali, intervallato da tre note-tre reiterate da quella che sembra la materializzazione di Didier Malherbe; e che non sia lui non importa, perché si viaggia in questa sottospecie di teiera volante che ti fa venire voglia di fare una capatina in una fumeria d’oppio, tra i riverberi da favola che avvolgono chitarra e clarinetto basso, con tutto l’insieme che rallenta e ti soffia “Blur Blur Blur” nel cervello, e Moe Tucker che ti culla come si deve prima di indicarti la carrozza del “Midnight Express” dentro cui vieni calato bello beato per la parte più selvaggia del viaggio, un espresso indiano di mezzanotte dove ti sale tutto.

Il profumo di spezie è più potente di quello della Ganja e dell’alcool, e nel flash nero ed improvviso di una galleria lunghissima ti ritrovi avvinghiato a barriti di clarinetto basso corrotti da un synth analogico che tenta di rendere il tutto più sinistro, senza riuscire a vincere la sua lotta contro un ritmo frenetico a cui ti aggrappi per farti trascinare verso un agglomerato fumoso di carne umana.

Che cazzo di nottata definitiva è se non ti lanci in una conga selvaggia con questo ammasso di sconosciuti che, come te, sono venuti qui, che chissà dov’è, a non farsi consumare da un rimorso?

Nella foga parossistica di una città al tredicesimo piano (mamma, porterà sfiga? Ma sono cazzate, su!) senti la voce di Alco, sicuramente sudato e ubriaco come te, che supplica la sua bella di salvarlo. Ma chissà dov’è.

Sarà forse immersa anche lei nel suo viaggio di un sabato notte altrettanto selvaggio? O starà correndo anche lei per non perdersi un “Dream Party” che parte con archi Hollywoodiani di quelli che sentivi dal letto, bambino, prima di scivolare nell’oblio che non volevi, e una marimba che va subito in loop dando l’ossatura a quello che, lungi dall’essere una festa e lungi dall’essere un sogno, è in realtà un incubo sempre più ossessivo.

Il resto del programma, tra fisarmoniche, valzerini col tre quarti scandito dai tasti di una macchina da scrivere che pare Capossela, organetti sconvolti e stonati, come nella migliore tradizione, e qualche disturbo d’elettronica vintage, vi invito a scoprirlo.

Sì, Degurutieni non ha l’approccio rivoluzionario di Yamatsuka Eye, non ha l’autorevolezza di KK Null, non ha la poesia dei Kikagaku Moyo, non ha la fama degli Acid Mothers Temple (un paio di loro lo aiutano nel disco) e anzi trasuda talmente tanto Tom Waits, quel signore che non vuole crescere (ah, Peter Pan) e che da secoli non ci degna di attenzione, da sembrare una macchietta.

Ma Alco è sincero, è un vecchio di merda che ama ciò che fa.

Gira l’Europa, Belgio soprattutto per la birra e le ragazze, sostiene lui, bofonchiando in un inglese incerto e andandosene in giro sia col suo one-man show, sia col suo Grinder Ensemble, e si procura i concerti nella sua pagina facebook.

Sia benedetta la svizzera Woodoo Rhythm Records, etichetta con un roster pieno di irregolari selvatici, genuini e sinistri, sempre piuttosto fuori da schemi definiti, che ha pubblicato questo disco, in parte, curiosamente, registrato proprio in Italia, che descrive così: Weird Wild Obscure Spooky exotica burlesque toy junk Muzak Trash One Man Band music made with broken cassette desks and fucked up record players.

Ora lo dico: potrebbe benissimo essere un nuovo fantastico disco dello zio Tom, e scommetto che, se lo fosse, i media generalisti ci asfissierebbero parlando del nuovo capolavoro del poeta maledetto tomweits che secondo loro fa sempre figo dirlo.

Non è un capolavoro, ma è un disco divertente e pieno di trovate. Consigliatissimo anche ai fans del poeta maledetto tomweits.

Finito alle 3:59 nella notte tra sabato 9 e domenica 10 novembre 2024

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