Nella musica, come nella vita in generale, il mio è sempre stato un cammino solitario. Alla ricerca di emozioni che fossero esclusivamente mie, lungi da ogni forma di condizionamento o preconcetto. Non fraintendetemi, non sono mai mancati compagni/e di viaggio con cui condividere certi momenti. Ma è altrettanto vero che non ho mai sviluppato quel forte senso di “appartenenza” che mi legasse ad un determinato gruppo o movimento o luogo. Non per anticonformismo, perché non ho mai escluso a priori ciò che è moda o comune sentire. E certamente non per una qualche forma di egoismo, in quanto il beneficio personale non è mai stato l’unico fine e condividere certe sensazioni mi ha spesso portato una gioia anche maggiore.

Credo invece che la mia ricerca abbia a che fare probabilmente con fattori meno “razionali”. L’eccitazione della scoperta. La pulsione selvaggia dell’istinto. A volte t’innamori semplicemente della copertina di un disco. Una figura scura nel mezzo di un bosco, appoggiata ad un bastone, che porta sul dorso quello che sembra uno specchio. La particolarità è che questo specchio riproduce in regressione apparentemente infinita l’immagine stessa. E come non bastasse, un viola preponderante ad accentuare il senso di inquietudine.

I Déjà-vu sono una dimenticata meteora del sottobosco progressive degli anni settanta e questo “Between the Leaves” è la loro unica testimonianza. Un disco pubblicato nel lontano 1976, esclusivamente in vinile ed in pochissime copie. Nel 1995 l’altrettanto oscura Research Records decide di riesumare le registrazioni e ristampare il lavoro in disco ottico, in memoria del compianto vocalist Kai Grønlie. Un’operazione ovviamente senza aspettative commerciali, che però riporta a galla un’opera di valore, che profuma di selvatico e attecchisce deliziosamente.

La band propone una musica di forte personalità, mescolando il prog sinfonico à la Yes con l’hard blues dei primi seventies. Lontani dagli eccessi autodistruttivi che il genere sta affrontando in quel periodo, i Déjà-vu rifuggono le esasperazioni tecniche o sperimentali, e mettono la loro arte al servizio della melodia. Largo spazio alle tastiere, tra hammond, moog, synth monofonici, clavinet, rhodes piano e mellotron. Una profusione di sonorità retrò che non oscura però il gli altri strumenti, ben amalgamati e complementari, nè tantomeno le calde parti vocali e gli ariosi refrain quasi poppeggianti. “Between the Leaves” in definitiva non è un disco per chi ricerca la novità e probabilmente le sabbie del tempo lo seppelliranno nuovamente.

Ma ecco, forse quello che cerco nella musica, come nella vita in generale, è proprio il lato genuino delle cose.

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