Dopo questa recensione di “A broken frame” sui Depeche Mode non manca più nulla. O meglio, mancherebbero tante cose, come lo storico “101”, “One night in Paris”, le varie raccolte, e i singoli, ma mi esimo per ora da questo perché per recensire un “101” ci vuole un fan che dei Depeche Mode sappia veramente vita e miracoli, insomma il fratello del produttore Daniel Miller o lui in persona… .
Nulla toglie che ognuno può provarci.

Ma andiamo con ordine. Tra i dischi ci resta “A broken frame”. Capolavoro dell’Electro-Pop, esce nel periodo in cui questo genere è al culmine (1982), e deve rivaleggiare con la non facile concorrenza dei New-Romantic. Chi se ne intende però sceglie i DM.
Synthbass in abbondanza, elettronica pura, campionamenti azzeccati
dal genio di Alan Wilder, tastierista londinese scritturato nella band proprio nell‘82, testi di Martin Gore, che ha sostituito Vince Clarke alla scrittura dei testi, grande conoscenza dei Synths fanno di questo album uno dei migliori album Electro-pop degli anni ‘ 80 e di sempre.

La copertina, che rappresenta un campo di grano e una figura che rappresenta uno zappatore, ottiene il premio come miglior copertina dell'82 (altro che la Hipgnosis e le sue merdine!). Quello che importa al fine della carriera dei quattro di Basildon è che questo è l’album della distinzione. Se “Speak & Spell” potevasi aggregare agli altri lavori new-wave del periodo tipo la produzione di Softcell e Human Langue (non mi stanco mai di citare “Dare” ), qui la musica diventa un’ identità per la band, illuminata da un Gore amante dell’elettronica tedesca (Kraftwerk in primis). Come ho già detto musiche metropolitane, testi di gioventù (si pensi che “See you” Gore l’ ha scritta a 12 anni!), pezzi che sembrano colonne sonore di film di Dario Argento (si veda l’incipit di “See you” con Dave Gahan che sembra Dracula quando pronuncia “All I wanna do is… .” )
Tutto molto bello, corredato da effetti suggestivi, forniti dal Synthbass e dalle riproduzione delle trombe-brass al sintetizzatore, a creare reminiscenze pseudo-gotiche (pseudo perché qui non si può parlare ancora di dark, è ancora pop, ma un pop venato di cupezza e tanta tanta suggestione. La voce di Dave Gahan in questo periodo è pressoché perfetta. Adolescenziale, baritonale e nello stesso tempo soave e gotica, non sgarra di una virgola, neanche nei live del periodo, tra cui è d’obbligo citare il concerto dell’ Hammersmith Odeon a Londra (1982).

Leave in silence” è il pezzo d’apertura, un gioiello proto-techno con dei Depeche molto ispirati sia alle tastiere che alle voci, in particolare il Gahan che sibila certe parole in modo superbo. La Longer Version è la più interessante e ti fa proprio godere (6:32). “My secret garden” è un altro pezzo in cui la voce di Dave dice tutto, quelle trombe-brass riprodotte dal Synth fanno il resto, molto orecchiabile. “Monument” è un girellino Electro-pop con campionamenti ad hoc, e sonorità molto metropolitane. Così come molto metropolitana è la suite elettronica strumentale “Nothing to fear” che ti catapulta in una Londra notturna e inquietante (almeno io l’ho sempre interpretata così). Arriva quindi il pezzo clou “See you”, singolo di successo in Gran Bretagna, con il Synthbass che fa da padrone, e una voce perfetta, che gioca a fare Dracula, come ho già detto, una musica quasi horror-orientaleggiante, e un testo molto carino nonché romanticone.
Satellite” è un’altra perla elettronica, sicuramente è offuscata dagli altri singoli di successo, come “The meaning of love”, graziosa, ma che personalmente preferisco meno perché la vedo un po’ infantile, non nel testo per carità, ma nella musica. Così come lasciano un po’ a desiderare perché non ti imprimono i Synth nel sangue “Further Excerpts from: My secret garden” e “A photograph of you”.

Con “Shouldn’ t have done Chat” si torna a un electro-pop gotico molto raffinato, in cui si alternano voci a cappella e brass. Certo chi non ama il genere la disdegnerà. Ciliegina sulla torta è “The sun & the rainfall”, una delle migliori canzoni del periodo Electro-pop, prima che l’Industrial si avventasse nei lavori della band. Molto raffinata nei suoni elettronici, bisogna ascoltarla per capire, ma è molto bella e anche leggera, perché manca l’ossessionante Synthbass che domina negli altri pezzi. In live tutte queste canzoni hanno forse fatto storia più che sul disco originale, e i Depeche Mode dei live fra l’82 e l’84 erano perfetti tanto agli strumenti (immensi Gore, Fletcher e l’impeccabile Wilder) e il giovanotto Dave, una delle più belle voci baritonali della storia della musica.
Vedete, The Punisher mi accusò si essere troppo parziale nelle recensioni, forse è vero, ma vi assicuro che mi sforzo di non esserlo, ma paragonando i Depeche Mode ad altre band che suonavano negli anni dell’edonismo, vi posso dire che la qualità c’è. Voto 3.

Ora direte: Ma perché dopo che ne ha parlato così bene?
- perché la tracklist alla fine stufa un po’ … . in fondo la matrice è sempre la stessa, tranne “Leave in Silence”, “Monument” e “The Sun & the Rainfall” che vanno considerate a sé perché capolavori.
- in secundis perché i Depeche Mode nella carriera hanno fatto cose di gran lunga più eccelse di questo disco, che rimane comunque uno dei migliori lavori anni ‘80.

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