Note sconsolate di Fede e Devozione.
Un altro live dei Depeche Mode.... Che faccio, lo compro? Dunque, vediamo, "Spirits In The Forest" è il titolo, ne ho letto qualcosa, due cd dal vivo e due bluray video, di cui uno contenente un film di Anton Corbijn in cui alcuni personaggi, di diverse nazionalità, raccontano la loro vita e i loro dolori, per poi ritrovarsi in un settore a loro riservato del famoso Waldbuhne di Berlino, ad uno dei megaconcerti del gruppo. L'altro bluray video contiene invece il concerto in toto. Questo, sia detto per inciso, è l'ultimo concerto di una tournée che li ha visti protagonisti di altre 112 esibizioni in tutto il mondo.
Non vedo l'ora. Oppure no, non so, davanti agli ultimi prodotti della premiata ditta Gore & Co. , dal 2005 in avanti, ho sempre avuto sensazioni strane, in qualche modo so già che tipo di prodotto aspettarmi e su che standard si porrà il prodotto stesso. Standard alto, magari, ma sempre uguale a quello del prodotto precedente, prevedibile fin dalla grafica di copertina, alto ma prevedibilmente, quasi noiosamente alto, senza scossoni né novità.... Poi, guardando i titoli sul retro, vedo pochissimissimi brani recenti e carrellate di roba vecchia, e questo, chissà perché, mi ingolosisce vieppiù. Ma può essere normale, è un live.... Mmhh, l'ho già pensato quando ho comprato, alla sua uscita, il Live in Berlin ed il Tour Of The Universe, almeno.... Lo compro, vabbé, lo compro.
A casa, moglie e figlia in centro, tre orette solo soletto. Impianto acceso, bluray nel lettore ma... resa sonora ai limiti dell'accettabile e senz'altro sotto lo standard dei Depeche che, a livello audio ci hanno abituato al meglio. Qui si sfiora l'indecenza, con un 5.1 Surround datato e piatto e un suono stereo, diremmo, stereotipato, davvero nulla di che.
Regia e fotografia anch'essi sotto gli standard, altrove altissimi, di Corbijn stesso, assenti le sue famose sfocature, rimane solo il resoconto nudo e crudo dei fatti, questo sì nel suo stile pieno, con ambientazioni vere e minimali, inquadrature da Germania Est anni settanta, molto Corbijn, in effetti.
Qui risulta coadiuvato da John Merizalde e Pasquel Gutierrez, giovanii artigiani dell'immagine e della parola.
Lui, Corbijn, poi, è responsabile di tutta l'immagine dei Depeche Mode dai tempi del Devotional Tour, anno di grazia 1993, e chi pensa ai Depeche oggi li vede con le icone sceniche tipiche del genio del regista visionario. Ma tutta quest'opera, a cominciare dalla confezione, spartanissima, fino ai particolari tecnici, sa di svogliato, di fatto perché s'aveva daffà. Ma si sentiva la mancanza di un'altra testimonianza live dei tre di Basildon?
Chi scrive ha la scimmia dei Depeche dal Natale dell'81, quando li sentì per la prima volta sull'Antologia della Some Bizzare, dove comparivano a fianco di altri sconosciuti che sarebbero assurti a gloria, leggi Soft Cell e The The. Li ha seguiti in ogni loro cambiamento, dalla svolta dark a quella rock, alla alternative dance e così via, tra alti (molti, quasi tutti) e qualche basso, ogni tanto. Ma, insomma, sono definibile un fan, a tratti sfegatato, e non ho più voglia di accontentarmi, come, con loro, faccio da almeno tre lustri buoni.
In altri tempi, all'inizio di un nuovo ciclo vitale dei Depeche ho sempre avuto un'insaziabile curiosità su cosa avrebbe portato il ciclo seguente, e mai ne sono stato deluso. Dopo il secondo disco, transitorio ed insicuro, Gore prende le redini del gruppo e Wilder, nuovo tecnocrate alla Corte, arma le sue melodie ed i ritornelli di fasci di elettronica nervosa, à la page, certo, ma le sottili tristezze in minore scritte da Martin per la vociona di Dave hanno sempre trovato arrangiamenti degni e corposissimi. E poi le Grandi Ricompense, la Nera Celebrazione e la Musica per le Masse, e poi il Trasgressore che inizia il decennio e la Fede e Devozione che risparigliano le carte, di nuovo ed ancora... La calma ritrovata con l'Ultra e L'Eccitatore, il nuovo, splendido standard sonoro che loro perseguiranno a diretto danno dell'inventiva e della ricerca del Nuovo. Via Wilder, mai più ricerca, si potrebbe affermare, e con davvero poche voci disposte a confutarla, quest'affermazione.
Ma torniamo a noi. Tra l'altro la "trovata" di costruire una specie di film "on the road" con protagonista non la band ma i fans l'avevano già sfruttata nel lontano 1989, allora si chiamava "101" e celebrava la centounesima data del tour americano di quell'anno che li aveva consacrati come nuovi masters del rock elettronico "da stadio", come si diceva allora. In quel film, diretto da D.A. Pennebaker, micapizzaefichi, il regista che filmò Bob Dylan, Bowie, Hendrix e Little Richard, alcuni giovani fans americani intraprendevano un viaggio in bus attraverso gli USA per raggiungere il Rose Bowl di Pasadena per l'ultimo concerto della tournée.
Ora si ripropone un po' stancamente la stessa cosa, ma i fan odierni sono adulti dalle storie più diverse, il professionista di Rio che si scopre gay e fa outing coi genitori dopo anni; la donna francese che ha un incidente da cui esce del tutto priva di memoria, non sa chi è né sa più parlare o scrivere, ricorda solo alcune canzoni dei Depeche, nient'altro; il papà sudamericano separato, i figli adolescenti vivono a Miami e lo raggiungono, e con loro lui organizza una miniband che su Youtube fa cover dei DM suonate coi mezzi più improbabili ed estemporanei... Tutti accomunati dalla passione per i Nostri, che cantano a memoria le loro canzoni al concerto e si commuovono fino alle lacrime mentre Gore canta le sue ballate scure con la sua voce sempre sul punto di spezzarsi.
Insomma, il film ed i cd sono l'ennesimo resoconto di una tournée a dir poco trionfale, al solito, (quella del 2018, megaprodotta e molto curata sotto ogni aspetto, succeduta all'uscita di "Spirit", ultima fatica), tranne che, già detto, sotto quello della novità. Di novità vere non ne troverete in questo concerto, fatta eccezione per i video proiettati sul megaschermo che sceneggiano le vecchie canzoni con nuovi minifilm, come del resto non se ne trovano più nei dischi dei Nostri dai tempi, direi, di "Ultra". Da allora gran mestiere, tecnologia ai massimi livelli e show qualitativamente al di sopra di quello di chiunque altro. La scelta, anche obbligata, nel caso di un gruppo che quest'anno festeggia il quarantennale dalla sua fondazione e può vantarsi di annoverare ancora in formazione i tre quarti di quella originale, è quella di praticamente ogni altro gruppo sopravvissuto ai decenni ed alle circostanze: quella di editare album più possibile "fedeli alla linea", senza grandi scossoni, senza novità, ecco, formalmente perfettini ma empaticamente poco, pochissimo comunicativi, scegliendo così la strada che li porterà fino a fine carriera, tranquilla, con un album ogni tot anni, seguito dalla tournée mastodontica, con poche canzoni dagli ultimi dischi e una bella bordata di greatest hits... A testimonianza di ciò provate un po' a chiedere ad un fan dei Tre di citarvi almeno quattro brani da ognuno dei loro ultimi tre/quattro dischi.... sarà mooolto più facile ricordarsi di tutti o quasi i titoli dei brani contenuti nei dischi, diciamo, dall'86 al '2001, diciamolo. Ma questo, beninteso, succede un po' con tutti gruppi così longevi, degli ultimi dischi si conoscono si e no i brani trainanti, quelli che, in altra epoca, sarebbero diventati i 45 giri promozionali.
I tre DM originali, in questo film-concerto, finiscono tristemente, alle soglie delle sessanta primavere, per raffigurare la caricatura di se stessi, con David Gahan, che abbiamo tutti ammirato come animale da palcoscenico versatile, scattante, ora ridotto a figurina saltellante, con movenze ed ammiccamenti e con gesti ripetutamente effemminati, al limite del fastidioso, verso un pubblico adorante che ancora, in "Personal Jesus" grida "Reach Out, Touch Dave" anziché "... Touch Faith", ancheggiante ai limiti del ridicolo, senza quasi più capelli, e non è colpa sua, forse, che sfodera un vocione di gola col quale riesce ancora ad estendersi a dovere ma a scapito dell'espressività del tono scaduta fin quasi al nulla... si può dire che, dal vivo, Dave gridi e gracchi, più che sfoderare i bellisimi toni scuri e gravi che gli conoscevamo.
Martin Gore, alla chitarra e sempre più raramente al synth, con gli occhi bistrati oltre norma, con l'aria di chi si chiede che ci faccia ancora lì, a suonicchiare meccanicamente le solite quattro note di quel sublime inno alla solitudine uscito dalla sua penna ormai trent'anni fa che è "Enjoy The Silence"... Ancora si riserva un paio di spazi solistici e qui la sua voce sottile trova ancora un'emozione riproponendo nientemeno che "I Want You Now", vecchio pezzo tratto da "Music For The Masses" e mai più riproposto, ora in veste acustica per voce e piano, spogliata dell'armatura eletronica che Alan Wilder le aveva imposto e tornata ad essere uno dei più riusciti inni alla disperazione mai sortiti dalle dita del biondino di Basildon.
Chi resta, come d'abitudine, nell'ombra più completa è sempre il rosso spilungone, il contabile della ditta, quell'Andy Fletcher, membro fondatore del gruppo che, sapendosi meno dotato e molto più riservato degli altri, si è sempre tenuto da parte, suonando nei concerti poche note ed ancor meno accordi al synth, battendo le mani unite sopra la testa ad incitare il pubblico e niente più, neanche in sala d'incisione dove il suo apporto alla scrittura ed alla realizzazione è sempre stato poco più che nullo. Ora il vecchio Fletch fa fatica anche ad inchinarsi al pubblico dopo l'ultimo brano, al momento dei commiati, artrosi galoppante, pare, speriamo nulla d'altro.
E poi, e poi... le braccia ondeggianti durante la parte finale di "Never Let Me Down Again" fanno ancora salire un brivido lungo la schiena, così come si genera ancora un clima d'attesa spossante prima che si accenda il motore dell'auto all'inizio di "Stripped" e le note sciocchine di "Just Can't Get Enough" fanno ancora ballare senza pensieri tutti, ma proprio tutti, i presenti, ma il senso di aver rimasticato qualcosa di già assaggiato più volte, e perciò poco saporito davvero, rimane.
E poi ancora, udite udite, "Pimpf", dall'andatura marziale, viene riproposto in originale, registrato, a chiusura dell'evento, col pubblico che si ritira ed il gruppo già sotto la doccia.... Ed è, questo sì, un brivido assoluto, un esempio di come i Depeche sapevano spiazzare tutti, quando li si attendeva al varco con un brano ballabile ed ipertecnologico al quale fare le pulci e loro ti sfornavano un capolavoro senza testo, dal midollo elettronico e con una corazza metallica degna dei rumoristi più scaltri, al servizio di una melodia magari calpestata ma melodia, pur sempre....
Finisco il concerto in bluray e me lo riascolto anche nei due cd, la voglio assaggiare tutta la minestra, è senz'altro stata riscaldata, è buona, come no, ma è riscaldata.
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