Derek Sherinian. Un tastierista eccentrico, un personaggio, a volte comico, a volte buffo o impacciato. Ma non si può certo negare che sia uno sprovveduto. E neanche che sia un grande artista.
Archiviata la pagina Dream Theater, con cui ha registrato l'EP "A Change of Seasons" e l'album "Falling Into Infinity", si dedica completamente alla "sua" musica collaborando con alcuni tra i nomi più illustri del metal e rock odierno. La soluzione compositiva di "Inertia", suo secondo lavoro, non cambia molto rispetto a "Planet X".
Si circonda soprattutto di grandi star stavolta: alle chitarre si presentano Zakk Wylde e Steve "Luke" Lukather. Le premesse per un buon disco ci sono tutte. Eccome. E invece no. Il primo ascolto mi ha deluso profondamente, il secondo meno e ho cominciato ad apprezzarlo. Il disco scade nel noioso. Non è che sia brutto, per carità, ma l'assenza di un cantante e di idee che siano realmente originali, lo rendono pesantino e adatto a pochi oppure ai soli estimatori del suo modo di suonare/comporre.
Derek si lancia in un prog-metal veramente estremo, tecnicamente ineccepibile. Ma gli manca quel tocco di originalità che possa far gridare al miracolo vero e proprio. Soprattutto da elogiare sono i primi due brani, veramente piacevoli all'ascolto: "Inertia" e "Frankestein" (cover di Edgar Winter). Belle le parti di tastiera, così come quelle di chitarra. "Metal Hari" invece, con i suoi eccessivi cambi di tempo, ma soprattutto di atmosfere, rischia di annoiarmi e non poco, così non finosco neanche di ascoltarla e passo all'altro brano degno di nota: "Evel Kneivel", con un Zakk Wylde in bella mostra, che sfodera una classe da solista che sinceramente, da un barbuto come lui non mi sarei mai aspettato. Fa letteralmente gridare la sua Les Paul in maniera lodevole.
Da qui comincia la fase calante del disco: "La Pera loca" sbilancia l'ascoltatore nella sua frammentarietà oppure, se proprio vogliamo, nella sua "voluta complessità". "Goodbye Porkpie Hat" invece ripropone un brano diel buon vecchio Jeff Beck dall'album "Wired". Ben fatto, non c'è che dire, ma la sua lunghezza tedia l'ascoltatore. "Astrogilde" rialza un pò il tono, con un accattivante riff di tastiera e chitarra, per poi partire con una intelligente parte solistica di tastiere. "What a Shame" mi ha sorpreso per il suo andamento un pò angosciante e triste, un pezzo attraente e molto ben strutturato, soprattutto ottima la parte acustica in mezzo al brano. Da dimenticare gli ultimi due brani. Belli ma lunghi, troppo lunghi per esser sopportati fino in fondo, tra assoli furiosi e synth a volte inascoltabili.
Questo disco mi ha spiazzato, perchè, in fondo, è ben fatto e ben suonato. Presente dei punti a favore, d'altronde le premesse per un bel disco c'erano tutte, ma presenta molte falle al suo interno, soprattutto l'incapacità di svincolarsi da certi clichè tecnici che, per artisti del loro calibro potevano essere realmente evitati. Derek, per fortuna, farà meglio in futuro.
Disco sufficiente, per pochi eletti, però.
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