Era passato qualche mese da quando molto deluso mi ero diplomato era il 2008. Quello che non potrò mai dimenticare è quel periodo fatto di isolamento e silenzi assordanti, un vortice che mi aveva inghiottito e delle catene invisibili che mi tenevano immobile di fronte alla vita. Mi era rimasto un vecchio mp3, degli auricolari e un verde giardinetto in cui passavo la maggior parte dei pomeriggi. Mi sentivo incompreso, invisibile per il Mondo, abbandonato da tutti e senza nessuna prospettiva per il futuro.

Ricordo che all’epoca già da tempo desideravo intensamente una connessione adsl che potesse aiutarmi nel soddisfare la mia smisurata sete di musica. E allora cercai di arrangiarmi come potevo e grazie anche alla disponibilità di un’amica, che mi inviava cd per posta colmi di musica, che per la prima volta conobbi i Descendents. Ci volle non molto prima che “Hope” con il suo testo divenne una delle mie canzoni della vita e “Milo Goes To The College” uno dei miei dischi preferiti.

Ho sempre nutrito una simpatia quasi a pelle per i californiani di Lomita, potrei dire che era una cosa quasi istintiva. Sicuramente ha influito la figura e la storia del leader Milo Auckerman in cui per molti aspetti mi rivedevo io: lo studente secchione ed occhialuto che le ragazze non guardavano, che sfogava tutta la sua rabbia urlando dietro il microfono.
E poi c’è quel simpatico quanto stravagante nome. Nome che da piccolino mi ha portato molti sfottò a causa di un famoso anime giapponese che lo zar Ivan Zaytsev deve aver visto a ripetizione.

A parte questa ideale vicinanza va detto poi che ho sempre prediletto l’hardcore americano, la sua velocità, la sua ruvidezza, la sua melodia, ma soprattutto in molti frangenti la sua intelligenza attitudinale, la risposta alla prospettiva no future al di là dell’Oceano.
E la storia di Milo, oggi affermato biologo, sposato e padre dimostra che il punk può essere anche cervello e rabbia positiva ed è l’esatto opposto del nichilismo e dell’autodistruzione di un crestone che si buca. E’ la storia di chi ha lottato, ha sguazzato nel fango ma oggi nonostante tutto è ancora vivo.

Tornando ai Descendents potremmo dire che oggi le cose sono cambiate e non è la musica la preoccupazione principale dei membri del gruppo, ma del resto avrebbe davvero senso sfornare dischi a profusione continua? Probabilmente no.
Eppure se togliamo una produzione più curata al passo con i tempi sembra che l’orologio negli ultimi trent’anni si sia fermato, le immagini cristallizzate su quei volti, su quei palchi, su quei sobborghi assolati pieni di locandine strappate. Alla faccia di alcune band odierne che hanno fatto propria la lezione impartita dai californiani salvo poi rimuoverla presto.

Accanto all’occhialuto frontman c’è sempre il fido e storico timoniere Bill Stevenson accompagnato da Egerton e Alvarez che si unirono alla band a metà anni Ottanta. Abbiamo quindi una formazione ormai stabilizzata che suona insieme da “All” (1987).
La peculiarità che mi ha sempre affascinato dei Descendents è quella vena melodica e romantica che non è mai venuta meno dal 1982 ad oggi (“Enjoy” in parte escluso) e con “Without Love” stanno qui ancora una volta a dimostrarcelo. Dell’altro lato i Descendents sono sempre stati anche irrazionalità e brevi scariche di adrenalina hardcore di cui qui abbiamo diverse dimostrazioni. E’ sempre stato così due metà che si completano a vicenda. “Limiter”, “Feel This”, “Shameless Halo”, “No Fat Burger” e “Spineless and Red Scarlet” convivono tra di loro bene e si integrano.

Anche io come la musica dei Descendents sono un insieme di diverse cose, con un comune denominatore rappresentato da un realismo di fondo che a volte scade nel pessimismo. Ma ho anche una risata da ebete che delle volte riesce a rendermi tanto allegro almeno in apparenza.

La vita è una merda, l’uomo tra tutti gli animali è l’unico dotato di intelletto ed è destinato a soffrire per la propria precaria condizione.
Ciò non toglie che proprio quando va tutto storto bisogna fare propri nella maniera più laica possibile quei sentimenti di speranza e rabbia in modo da riallacciare i fili per riprendersi qualcosa che spetta di diritto in maniera inalienabile per quanto la sua dimensione sia finita: la vita.

E allora forse dopo tante batoste, pugni, albe, tramonti e tempeste, proprio come cantava il ragazzo brufoloso di ieri arriverà il tuo giorno e che sia la laurea, la ragazza di cui sei innamorato che ricambia, una promozione agognata poco importa.

Milo nel frattempo ha continuato a combattere, è uscito di casa è cresciuto ed è veramente andato al college. Quel Milo sono io.

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