Gli americani 'Destiny's end' sono uno di quei gruppi votati all'autolesionismo, profondamente convinti che non sia possibile fare buon heavy metal senza annoiare con partiture complesse, riff senza capo ne coda e una voce da lagna gregoriana.

Detiti a un power-doom di notevole spessore tecnico, scontano il grave limite di non riuscire mai a generare interesse nel loro lavoro, gravato da troppi bardamenti inutili. La cosa più sorprendente è notare come nel metal moderno sia completamenete sparita la tensione, il senso del crescendo e del rock inteso come emozione orgasmatica, destinata a crescere man mano che si snoda la musica. Vicini ai 'Nevermore', i Destiny's end cantano di filosofia, destini dell'umanità e altre cose di cui non frega niente a nessuno attraverso tonnellate di riff duri quanto freddi e inconcludenti, monotoni e ripetitivi, che vorrebbero essere inquietanti e che invece procurano solo un gran mal di testa. I due chitarristi Dan Delucie e Eric Halpbern indulgono in maniera sconsiderata in melodie arabeggianti e scale dissonanti per accompagnare l'insopportabile litania del singer James Rivera.


Qualche barlume di metal decente si avverte nello speed di From dust to life e nell'aggressività bombarola dell'opener Transition, ma rimane poco per un album decisamente sotto tono, musicalmente appena accettabile e mandato in malora dalla voce di un cantante scandaloso. Per quanto gente come i Destiny's end credano il contrario, fare heavy metal in maniera dignitosa non è cosa molto facile e non basta raccogliere un po' di riff a caso e piazzarci sopra delle linee vocali ugualmete casuali per ottenere il risultato sperato...

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