Notoriamente, l'albero genealogico dei Byrds è un'autentica miniera d'oro, e offre una messe di dischi semplicemente straordinari, benché spesso trascurati. Non potrebbe del resto essere diversamente, dato che lì militarono tre dei più grandi songwriters di sempre (Gene Clark, David Crosby e Gram Parsons) e una serie di musicisti ineguagliabili, a cominciare dall'uomo che dalla sua Rickenbacker irradiò di luce nuova un intero decennio e non solo, il dispotico Roger McGuinn.

Gene Clark fu il primo a scendere dal vascello di capitan Roger: troppe le vertigini a otto miglia d'altezza, per chi aveva realmente paura di volare. Proseguendo sul solco cominciato dal debutto solista del 1967 coi Gosdin Brothers, Gene si unì  l'anno dopo al mago del banjo Doug Dillard e mise su una band nuova di zecca, la "Dillard & Clark". Avventura durata lo spazio di un paio di dischi ignorati dal grande pubblico ("Fantastic expedition" e il successivo "Through the morning, through the night",  che sono stati qualche anno fa ristampati su un unico cd:  come direbbe Sofia Loren, accattatevillo!), ma che per chiunque abbia a cuore  il country-rock hanno lasciato un marchio fondamentale. Dillard era stato infatti un musicista chiave nella scena bluegrass, avendo suonato dal vivo con la sua band, i Dillards, con gli stessi Byrds nel 1965-66: non è un caso che cronache romane dei primi anni 70 lo avrebbero immortalato accompagnatore  nientemeno che del califfo Gram Parsons in un concerto al Piper. Doug radunò attorno a Clark tutta una serie di polistrumentisti di estrazione country-bluegrass (dal futuro Eagle Bernie Leadon a Chris Hillman passando per Byron Berline), con l'obiettivo di unire la musica dei padri al folk-rock di cui Gene era icona indiscussa. La "Fantastic Expedition" è infatti un pionieristico viaggio a rotta di collo per le polverose strade americane, in un delirio di fiddle, steel guitarbottleneck e organi che sposano il virile baritono di Clark, e le sue storie intrise di innocenza perduta e di un candore accecante.

L'iniziale "Out on the side" è un esauriente e sublime manifesto di "americana": soul di profondità sconfinata, affrescato da un organo sinuoso e da fiati smaglianti, che non avrebbe sfigurato sul mastodontico "Music from the big pink" o sui "Basement Tapes" che nello stesso periodo i compagni di merende  Dylan & the Band stavano mettendo in piedi nella celebre magione rosa. Si prosegue con le filastrocche romantiche di Gene impastate nel country-rock convulso di "She darked the sun",  "In the plan", "Lyin' down the middle", "Don't come a rollin" o nello stupefacente sincretismo country-rockabilly della presleyana "Don't be cruel": ardenti quanto una palude dicembrina prosciugata ma rese vivide da quel cantato perennemente strappato all'oscurità, dal quale grondano lirismo e soave malinconia. Perché il segreto di Clark è sempre stato quello, fin dai tempi delle risacche byrdsiane: sotto le asperità frenetiche si cela la sua tenerezza disarmante, che in gemme melodiche quali "With care from someone" (struggente noir dal retrogusto jazz), "Why not your baby" e "Something's wrong" traccia la strada per il suo capolavoro maturo "White light". Fino al brano più celebre del lotto, la dolceamara "Train leaves here this morning", condita da armonie e fragranze strepitose, composta insieme a Leadon, il quale passerà all'incasso con essa assieme agli Eagles.

Versi quali


"I lost ten points just for bein'
In the right place at exactly the wrong time
I looked right at the facts there
But I may as well have been completely blind

So if you see me walkin' all alone.
Don't look back I'm just on my way back home
There's a train leaves here this mornin'
I don't know what I might be on
"

rappresentano bene la sfortunata carriera di Gene. E così lo immaginiamo, ancora su quel treno sbuffante, mentre attraversa i grandi spazi aperti americani, catturandone l'essenza intima e imprigionandola in melodie senza tempo.

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