Freddi, glaciali, distruttivi, diretti, decadenti. Questi, e molto altro ancora, sono i nuovi Dimmu Borgir del 2000, dopo l’uscita dell’ottimo Spiritual Black Dimensions. E si ripresentano con un disco ancora più completo e maturo: Puritanical Euphoric Misanthropia, miscela di melodia, aggressività ed emozioni che non potrà che piacere a chiunque ami già la band norvegese.

Forti di ben due cambi di line-up, il gruppo acquista in questo modo degli strumentisti di assoluto rilievo e altamente ispirati; primo fra tutti il motore umano Nick Barker, ex Cradle of Filth, fra i più veloci e precisi drummer della scena estrema e il nuovo chitarrista Galder, leader degli Old Man’s Child. Il nuovo lavoro dei Dimmu Borgir si distacca nettamente dai primi album, grazie soprattutto ad una produzione davvero ben fatta. Il sound del combo norvegese è inoltre impreziosito dall’ottima scelta di suonare insieme all’orchestra di Gotheborg, creando così dei veri e propri capolavori di pura melodia.

Proprio l’orchestra è l’asso della manica di questo full-lenght, e si può ammirare in tutta la sua maestosità soprattutto nell’intro suggestiva ed emozionale “Fear and Wonder”, che sembra essere uscita da un film horror tipo Dracula di F.F.Coppola, in “Perfection or Vanity” e in molte altre song, come la velocissima “Indoctrination”, “Sympozium”, melodica ed aggressiva allo stesso tempo, e “Hybrid Stigmata”, canzone evocativa dal chorus trascinante. I Dimmu Borgir, comunque, non si dimenticano delle loro origini tipicamente black metal, e deliziano i nostri padiglioni auricolari con pezzi che oscillano tra death, thrash e, perché no?, industrial, sempre bene integrati però alle tipiche parti di tastiera, marchio di fabbrica di casa Dimmu Borgir. Ecco allora, in tutta la loro devastante potenza, “Bleessings Upon The Throne Of Tyranny” e “Kings Of The Carnival Creation”, due fra le più belle songs dell’album, la prima di chiaro stampo death, la seconda di matrice black, dove troviamo l’ottima prova di batteria di Barker. Molto più tendenti al thrash sono invece “The Maelstrom Mephisto” e “Architecture Of A Genocidal Nature”, dove uno Shagrath allucinato canta su un pezzo di basso e tastiera impazzito.

Infine, “Puritania”: la canzone più “strana” del lotto. Dei suoni industrial accompagnano una doppia cassa quasi costante e le chitarre affilate. I puristi non si spaventino: pur essendo un brano sperimentale, non snatura il sound del gruppo e, anzi, l’atmosfera black permane. Bisogna comunque sottolineare il fatto che, in quest’album, il bassista Vortex canta di meno rispetto a Spiritual Black Dimensions e alcune canzoni a lungo andare stancano.
I Dimmu Borgir, quindi, sfornano un altro lavoro assolutamente nuovo e personale, che influenzerà sicuramente le prossime release del combo norvegese. Obbligatorio per i fan, ma anche per chi si vuole avvicinare per la prima volta ad una fra le più importanti band del black sinfonico.

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