Dino Risi ha diluito il suo gran bel talento in una filmografia tanto lunga quanto estenuata, per metà composta di opere sinceramente dimenticabili; ma se questa metà è servita a finanziare o bilanciare l'altra, allora ben venga.

"In nome del popolo italiano" è il frutto maturo e succosissimo di un quintetto d'eccezione: Dino Risi appunto, a dirigere Gassman e Tognazzi su un copione pirotecnico di Age & Scarpelli. Gassman è Lorenzo Santenocito, un ricchissimo e potentissimo industriale romano, assiduo frequentatore dei piani alti dei ministeri, ma anche romanaccio volgare e puttaniere che probabilmente deve tutta la sua fortuna al matrimonio con Lavinia, la cui famiglia (americana?) ebbe modo di aiutarlo all'indomani della fine della seconda guerra mondiale. Quando una giovane puttana d'alto bordo viene trovata morta nel suo letto, con qualche livido in faccia e una dose letale di un tranquillante nello stomaco, vaghi ma curiosamente coincidenti indizi portano l'irreprensibile e socialista magistrato Mariano Bonifazi (Tognazzi) a sospettare del Santenocito di cui sopra. Bonifazi addenta il fascicolo di questo processo fino all'osso e non lo molla anche a costo di inimicarsi i tanti prezzolati che lavorano indegnamente nel tribunale e che vorrebbero venisse archiviato come "suicidio": tanta è la sua rabbia nei confronti di una classe dirigente e imprenditoriale così sciatta e disonesta che manda la sua imparzialità a farsi benedire. E quando alla fine trova il diario della ragazza, su cui sono annotate, alla data della morte, parole che fanno inequivocabilmente pensare al suicidio, lui lo distrugge, lo brucia ottenendo così il rinvio a giudizio di Lorenzo Santenocito.

Spietato ritratto di un'italietta che trentacinque anni fa non era poi tanto diversa da oggi
, "In nome del popolo italiano" è un film sarcastico ma anche inquietante (il simbolico crollo nel tribunale) e con una punta di surrealismo nella sequenza finale.

I BRUNO CORTONA SONO SALITI AL POTERE (e, a quanto pare, ci sono rimasti)

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