Ciao ragazzi, oggi si parla di un film che, a suo modo, fa da trait d'union fra la commedia all'italiana degli anni '50 e '60 ed i più incerti, ma non meno significativi, passaggi della commedia italica, spesso a fondo erotico, diffusasi fra gli anni '70 ed '80, su cui sono solito concentrare le mie analisi nel sito che state visualizzando sul vostro pc o sul vostro portatile.
Rispetto alle mie solite recensioni, ho deciso dunque di alzare lievemente il tiro: l'esame di questo film ci permette infatti di focalizzare la nostra analisi sulle derive del cinema italiano, e sulle possibili cause, e correità, di queste "derive", per utilizzare ovviamente una locuzione chiara agli esperti di settore.
L'anello di congiunzione fra passato remoto e passato prossimo del nostro cinema è dato, nel caso di cui si tratta, dal regista del film, il famoso Dino Risi, sulla cui carriera ovviamente non mi dilungo, limitandomi a rammentarvi che si tratta del regista de "Una vita difficile" ('61) ed "Il sorpasso" ('62), senza citare altri lavori, qui impegnato in un lavoro minore, poco premiato dal pubblico ed, ovviamente, criticato da appassionati ed esperti.
"Teresa" ('87), interpretato dalla procace Serena Grandi in libera uscita dalle atmosfere brassiane di metà anni '80, ci narra di una vedova che, per estinguere i debiti contratti dal marito con un perfido strozzino, si mette alla guida di un tir, girando su e giù per il Belpaese ed affermando la propria presenza in un mondo settario e maschilista come quello degli autotrasportatori, aiutata, in questo percorso, da un giovane e scanzonato collega, interpretato dall'allora simpatico e promettente Luca Barbareschi. La stessa donna resiste, frattanto, alle avances del satireggiante creditore del marito, interpretato dal sempre valido Eros Pagni.
Si tratta di un film piuttosto furbetto, dalla trama noiosa e davvero poco significativa, che tenta di adescare il grande pubblico mediante le forme della protagonista, attrice invero indubbiamente bella e, per certi aspetti, simpatica, non in grado, tuttavia, di reggere il ruolo di protagonista di un lungometraggio ed, in ogni caso, schiacciata, come tante altre bellezze, dal proprio fascino da maggiorata, procace e popolano.
Allo stesso modo, la descrizione del mondo dei camionisti effettuata da Risi e dai suoi sceneggiatori non si svincola dal cliché bozzettistico, fatto di ammiccamenti e volgarità oltre che di ampie dosi di cafonaggine, risultando, sotto sotto, un po' snob, se non addirittura derisorio di una certa categoria professionale che - ammettiamolo con serenità - risulta fra le meno tutelate del nostro Paese, anche per le condizioni in cui molti camionisti svolgono il loro lavoro.
Certamente gli amanti del trash, fra i quali sono a torto iscritto pure io da alcuni lettori del sito, troverebbero di che sbizzarrirsi nella visione di questo film, sollecitando le loro prurigini alla vista della sempre intrigante Serena (allora) nazionale e sorridendo, in ogni caso, della involontaria superficialità di questo lavoro, quasi raffazzonato. I critici ad oltranza ed i cantori del bel tempo andato potrebbero invece lamentare la de|voluzione del cinema italiano, e lo spreco del talento di Risi in un filmetto davvero di poche pretesa e pessima riuscita, declamando la beltà dei suoi precedenti lavori a raffronto con "Teresa".
Come al solito, un'equilibrata valutazione del film in esame mi costringe ad operare dei distinguo: se Teresa segna un passaggio a vuoto del nostro cinema, risultando mediocre anche rispetto ad altre commediole dell'epoca, la colpa è anche del regista e del team di sceneggiatori che collaborarono con Risi (pensiamo a Bernardino Zapponi), facendo un certo spreco del proprio talento e delle proprie risorse ed abbandonando, per primi, una visione "autoriale" del proprio cinema. Insomma, mi sembra una rinuncia dei presunti "autori" a formare e guidare il proprio pubblico, facendosi piuttosto condizionare, con il chiaro concorso dei produttori, dalle mode del momento e dalle grazie della pur apprezzabile protagonista.
Quasi a dire che la deriva del cinema italiano non dipende dal pubblico - né dalle lacrime di chi declama "o tempora, o mores" -, ma, forse, proprio dallo scarso coraggio e dalla poca vena dei suoi vecchi protagonisti, incapaci di far da maestri a nuove generazioni, occupando il campo con lavori poco efficaci come questi.
A questo punto, se permettete, meglio uno scollacciato film con Banfi e Montagnani, espressamente alieno da pretese, che un Risi che fa scempio di se stesso e della propria tradizione.
Se il re è morto, non dico certo viva il re. Giudizio, di conseguenza, severo: 1/1 per tutti.
Cordialmente Vostro,
Il_Paolo
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