"Quant'è bello IRREAL che mi sfugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, che dell'album non c'è certezza"
(libero e disgutoso adattamento dei versi immortali di Lorenzo dè Medici, "Trionfo di Bacco e Arianna")
"Irreal" è tra gli album che ho più ascoltato nel 2015 e, sorprendentemente, è quello che ho meno capito. Ogni volta che mi passa sotto le orecchie il sound scuro e indecifrabile del quartetto di Chicago, perdo le poche certezze che mi ero fatto all'ascolto precedente. Ci sono lavori che al primo ascolto sono già interiorizzati (e che magari al quinto hanno già rotto i maroni), ce ne sono altri che, a ogni passaggio, svelano e mettono in luce delle angolazioni "sonore" e delle sfumature diverse.
"Irreal" è un lento trascinamento post(experimental)rock sostenuto da una precisa/scarna batteria e da bassi profondi e soffocanti (scrivere DUB potrebbe quasi risultare fuorviante ma.....), è un cantato cantinelante dal sapore sciamanico-tribale-ipnotico (qualcuno potrebbe dire, a ragione, LIARS). Le chitarre sono ripetitive, rarefatte e riverberate, sono schegge metalliche che s'infrangono ciclicamente nel magma sonoro. E' un album nebbioso e maestoso, è faticoso affrontarlo quanto, nel sonno, correre ubriaco sulla spiaggia inseguito da incubi innocui. E' un lavoro psicologico, mutevole e avvolgente, che non dà punti di riferimento nè d'approdo.
E come nel leggendario labirinto di Cnosso, ci si ritroverà nei panni di Dedalo e Icaro pronti a spiccare il volo per sfuggire dall'ira del Minotauro. Si tenga a mente però che le ali di catramosa pece vi condurranno non in cielo ma in una grigia stasi irreale, in una pace temporanea tumultuosa e claustrofobica.
Chi vuol esser lieto nel limbo sia, che del paradiso (o dell'inferno) non v'è certezza.
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