Tomas Lindberg non è personaggio che si tira facilmente indietro. Non lo ha fatto quando si sentiva il bisogno, nei primi anni '90, di portare una nuova ventata di crudeltà in Europa, devastando i nostri padiglioni auricolari con una musica di matrice estrema come (quasi) solo gli At The Gates seppero produrre. Non lo ha fatto subito dopo lo scioglimento della seminale band Death svedese come dimostrano i suoi innumerevoli progetti  tra i quali The Great Deceiver, Lock Up e Nightrage tanto per menzionarne alcuni. Non ha tirato i remi in barca nemmeno quando i connazionali Disfear gli chiesero di sfoderare tutta la sua rabbia, la passione, la sua attitudine feroce e malsana e metterla al servizio di una giusta causa: ''Misanthropic Generation''.

Non è affatto una novità l'infatuazione di Tomas per le liriche che guardino al lato oscuro della realtà, tuttavia a stento lo si è sentito così veemente e nichilista quando si tratta di sputare in faccia agli ascoltatori il proprio scoramento. E dato che, com'è noto, certi contenuti hanno bisogno di un sottofondo calibrato, ecco gli stessi impulsi che animano il tormentato frontman riflettersi pure nel profilo musicale. I Disfear, sia chiaro, non rientrano però nel novero dei gruppi che si prendono esageratamente sul serio (peculiarità sempre più consueta purtroppo), preferendo esorcizzare le proprie vibrazioni negative attraverso una poderosa e sana dose di Rock and Roll elevato all'ennesima potenza. Il loro sound risente in primis dell'ascendente di mostri sacri quali i Motorhead e di stili musicali accaniti e incompromissori come l'Hardcore più crudo e spedito (Discharge su tutti). Tutto questo condito da un suono prorompente, figlio illegittimo di quei chitarroni svedish-style che tanto andavano di moda alcuni anni fa e che ancora oggi fanno la loro stimabile figura in tanti album attuali.

Sto parlando quindi di riff perversi e malati, di 12 brani dinamici che non superano quasi mai i 3 minuti e che risultano indistinguibili tra di loro anche dopo una decina di ascolti, di una sezione ritmica iperattiva e una voce spietata che urla al mondo le peggiori maledizioni. I Disfear non hanno l'ambizione di risultare fantasiosi o di mettere in mostra il proprio bagaglio tecnico, ciò che conta in questo lavoro è la consistenza delle pareti sonore e la solidità delle composizioni, che devono apparire senza scrupoli: ''The Final Of Chapters'', tanto per citarne qualcuna, potrebbe tranquillamente uscire da un disco degli Agnostic Front più imbestialiti mentre ''An Arrogant Breed'' e ''Rat Race'' fanno subito balzare alla mente Lemmy e soci ma anche i norvegesi Turbonegro. I Disfear, avendo ben poco da perdere, se ne fregano altamente di tutto e tutti e con ''Misanthropic Generation'' hanno semplicemente voluto mandare un gigantesco e spontaneo affanculo al mondo ( ''...I Don't Care About Anything, I Don't Care No More...''). 

Perchè non volergli bene? 

Carico i commenti... con calma