Che il genere femminile sia superiore, in tutto e per tutto, rispetto a quello maschile discende con evidenza da innumerevoli indizi, più o meno significativi. Uno dei più futili, e per questo assai lampante, è che mai una gentil pulzella, per quanto risulti, abbia menato vanto del suo talento nel produrre suoni tramite l'emissione d'aria che attraversa il cavo orale, non proveniente dai polmoni attraverso la trachea, come nel caso della voce, bensì dallo stomaco attraverso l'esofago, suoni volgarmente definiti "rutti".

Cotanta premessa di ordine filosofico ed antropologico anziché no, solo per dire che il branco di animali qui recensito (tutti maschietti, ça va sans dire) ebbero anni or sono l'ardire di realizzare addirittura un brano cadenzato a tempo di rutti, titolandolo delicatamente «I Don't Give A Shit».

E quindi, cari zozzoni, garagisti e non, se vi serve un motivo per comprarvi questo dischetto, forse non lo sapete ma ce l'avete già: in «Bloodied But Unbowed», alla traccia n. 8 figura proprio la summenzionata «I Don't Give A Shit». E se non vi basta, sappiate che a questa fanno buonissima compagnia altre perle di delicatezza quali «Rich Bitch» (si dice escort, ragazzi, si dice escort), «Fuck You» e «Fucked Up Ronnie»  must assoluti!

Così come tutto il resto del programma, realizzato attingendo a piene mani dai primi due lavori dei canadesi D.O.A., vera e propria istituzione del punk settantasettino, ancora oggi in attività.

«Something Better Change» è il fenomenale disco di esordio, licenziato nel 1980 dopo un periodo di apprendistato in oscuri gruppi locali (i seminali Skulls, in primis), ed è un riuscito incrocio tra le calde ed epiche sonorità che hanno fatto grande il punk californiano dei primi anni ‘80 ed il suono rude, secco e cadenzato che alimentava le fiamme nella Londra del 1977, pur non mancando momenti di requie nei quali ad essere inevitabilmente esaltata è la tensione che pervade l'intero lavoro (straordinari in tal senso «2+2», «Woke Up Screaming» e la già citata «Rich Bitch»).

Decisamente meno vario e più triviale, ma addirittura monolitico per compattezza e pesantezza, il successivo, eccezionale «Hardcore 81», titolo programmatico come pochi nella storia del rock, che vede in apertura lo straordinario «D.O.A.», uno dei più misconosciuti inni della storia hardcore, seguito da autentici classici, tra i quali merita ricordare «Slumlord», «M.C.T.F.D.», «Smash The State» e «My Old Man's A Bum». 14 brani in tutto, compressi in poco più di venti minuti, secondo i classici stilemi del nascente hardcore punk, che peraltro non disdegnano insospettate aperture e slanci melodici (basti pensare al piano virato rock'n'roll anni ‘50 che punteggia «Unknown»).

Più triviale «Hardcore 81», non c'è dubbio, ma proprio in questo è rinvenibile la grandezza dei D.O.A.: saper alternare momenti di goliardia e cazzeggio totale a brani di una consapevolezza socio-politica impressionante, su tutti «The Enemy» e «Watcha Gonna Do?»: a proposito di quest'ultimo, a chi non vengono in mente gli Stiff Little Fingers alle prese con «Johnny Was» o «Doesn't Make It All Right»?

Chi, all'epoca, avesse mancato l'appuntamento con i vinili originali, ha ora l'opportunità di rimediare, considerato che tutte (o quasi) le meraviglie nascoste in «Something Better Change» e «Hardcore 81» sono state portate alla luce in «Bloodied But Unbowed», monumento ad un punk rock antagonista di altri tempi.

Parafrasando Sofia Loren in una vecchia pubblicità ... ACCATTETEVILLO!

 

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