Perché, sul secondo disco di questo ventisettenne musicista francese a nome Stephane La Porte, del quale ignoravo l’esistenza sino a pochi giorni fa, sono disposto a scommettere?
Forse semplicemente perché “Ask for Tiger” è un curioso concentrato di sonorità, intuizioni ed attitudini che abbiamo sentito affiorare in dischi diversi nel corso di questi anni.
Ma è assolutamente personale e credibile il lessico che le esprime.
Devo attingere ad un vocabolario che maneggio con qualche difficoltà, fatto di termini slabbrati dall’uso, ma tant’è: l’elettronica del laptop ed echi di bizzarro kraut rock, l’indietronica e la “poetica” del manufatto casalingo, tastierine Casio d’annata e scherzi da cartoon.
Tutto innervato da “rumori” ed interferenze sparse: suono come frequenza che diviene fattore estetico ed emozionale, elemento di sintassi.
Questi gli ingredienti presenti, le cui coordinate si incrociano dando vita ad un lavoro capace di sorprendere proprio per la varietà di soluzioni adottate e per lo stato di grazia che pare averle mosse, per la naturalezza con le quali prendono corpo in sembianze di “canzoni” che pur ospitando anche minimali ed “ingenue” melodie, mantengono al contempo una certa astrattezza sempre crepitante, disturbata.
Ed evitando l’inesorabile paragone con le miriadi di produzioni alle quali l’ascolto potrebbe rimandare, in virtù di una qualità complessiva che ne decreta l’unicità, dal dettaglio all’insieme.

Stile, insomma. Domotic dimostra d’esserne senz’altro dotato
, in una misura che gli consente di fare spazio tutt’intorno, guadagnandone uno esclusivo dove dedicarsi alle proprie ibridazioni sonore, che stanno continuando a gironzolarmi in mente, da quando le ho assaggiate.
L’altro rischio incombente che il disco ha evitato con apparente ma sorprendente facilità è quello rappresentato dall’esito artificioso e forzato che avrebbe potuto avere un tale dispiego di fonti sonore e di suggestioni.
Osservatele procedere, ognuna con le proprie strambe movenze, queste eterogenee creature sonore, sino al termine dell’articolato tragitto disegnato da Monsieur La Porte.
E poi ditemi se vi capita spesso uno spettacolo simile, coacervo di equilibri impossibili tutti sostenuti da una sghemba grazia paradossale, attraversata com’è da scaglie urticanti, agglomerati di scariche elettriche, sibili e fruscii.
E confessatemi se, nonostante l’indole poliedrica anche voi avete percepito una continuità.
Quella sensazione di impossibile coesione, di irritante “discorso continuamente interrotto”, pronunciato però da frammenti capaci di renderlo misteriosamente comprensibile ed incomprensibilmente magico.


Il ragazzo ha davvero un talento tutto suo e finirà per incuriosire anche qualcuno che con quella ormai gremita nebulosa che va dai Grandaddy agli Animal Collettive, passando attraverso decine di produzioni di nuova elettronica ibrida non ha troppa dimestichezza.
Al termine dell’intervista che trovate in More Info, alla solita domanda sui suoi gusti musicali, Stephane La Porte risponde: <<…Poi consiglio sempre The Beatles, The Kinks, This Heat, Captain Beefheart, Kraftwerk...>>
Ottimi consigli, ai quali mi permetto di aggiungere il mio: Domotic - “Ask For Tiger”
.

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