Signore e Signori, ecco a voi il gruppo più sottovalutato d'Inghilterra: i Doves. Band che veramente ha raccolto soltanto 1/4 di quello che ha seminato nel corso degli anni, dal 2000 (data di pubblicazione del fantastico "Lost Souls") ad oggi, 2009, anno in cui esce la loro nuova fatica, "Kingdom Of Rust".

In mezzo altri due buoni lavori come "The Last Broadcast" e "Some Cities", che non sono riusciti a proiettare la band dei fratelli Williams nell'olimpo delle stelle del brit-rock, fortuna occorsa invece ai (per me) sopravvalutati Coldplay.

Autori di un brit-rock evocativo, imbevuto di psichedelia notturna e che ogni tanto sa mostrare i muscoli, i nostri il loro lavoro migliore lo sparano all'inizio. Il debutto "Lost Souls" mi stregò completamente: erano anni che non si sentiva un connubio così perfetto tra melodia e passaggi strumentali ariosi e affascinanti. E le canzoni. "Rise", Catch The Sun", "The Man Who Told Everything", ma soprattutto una delle più belle canzoni mai scritte nel rock: "The Cedar Room". Parte trascinando con sè un fraseggio chitarristico di matrice gilmouriana, sino ad esplodere in un ritornello di un'emotività urticante, che ancora oggi mette i brividi.

Dopo i due buoni lavori succitati, arriviamo finalmente alla loro ultima fatica. Devo dire che il precedente "Some Cities" era stato, secondo me, il punto debole della loro carriera. Con "Kingdom Of Rust" i Doves rialzano la testa. Lavoro ambizioso, che soprattutto all'inizio non concede punti di riferimento: se infatti una critica a loro spesso imputata è stata quella di essere troppo uniformi, il disco si apre con tre brani stilisticamente molto differenti tra loro: "Jetstream" è una cavalcata electro-rock, la Title-Track, con delle indovinate chitarre acustiche, ha un sapore bucolico che ricorda le ultime cose più pop degli Akron Family, e la successiva "The Outsiders" è solidamente rock, con un giro di basso distorto che la fa da padrone. Con "Winter Hill", classica Doves-song, si sprigiona un refrain semplicemente irresistibile, con il basso di Goodwin  ancora in primo piano. Fantastica poi l'apertura strumentale di "10:03": un'esplosione controllata di ogni singolo strumento,  che rimanda alle prime cose dei Motorpsycho. Il disco procede così, senza sbandamenti di sorta (se non per la derivativa e già sentita "Compulsion"), fino a "Spellbound", cavalcata rock irresistibile che rimanda alla già citata "Catch The Sun". In generale, mi sembra di poter dire che, tranne alcuni passaggi (su tutte, la delicata "Birds Flew Backwards"), questo sia il loro disco più rock. Sempre mantenendo quel loro approccio "arty" che rende la struttura dei brani mobile e imprevedibile.  

In definitiva, disco da avere. Insieme agli Elbow ed agli immortali Manics, i Doves si confermano gruppo solido e di statura mondiale. Supportiamoli.

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