E dire che all'esistenza dello Sludge nemmeno ci credevo. Hardcore Punk con influenze Doom e Southern Rock? Boh!
Ho sempre classificato tutto ciò che è musicale e sa di anni '70, è fumoso, psichedelico, stracarico di fuzz e terribilmente desertico come Stoner; mi sbagliavo.

Oh, se mi sbagliavo!

Sarà che a New Orleans (NO), Louisiana (LA), il fumo è più buono. Sarà che rende più incazzosi che mai. Sarà che questi quattro bravi ragazzacci - Phil "Cinghiale" Anselmo (Pantera), Pepper Keenan (Corrosion of Conformity), Kirk Windstein (Crowbar), Jimmy Bower (Crowbar) e Todd Strange (Crowbar) - sembrano i figli bastardi dei Black Sabbath.

Con lo Stoner da me sopracitato, i Down hanno in comune tutto e niente: dimenticate marce psichedeliche, morbidi tappeti sonori con effetti di voce, basso, chitarra e qualsiasi altra diavoleria, canzoni contorte, intricate, oniriche e spiazzanti. Fatto? Bene.

I quattro di New Orleans non sono per niente sognanti e contorti. Sono incazzati come bestie. Ascoltare un loro album equivale a ricevere un colpo di fucile a canne mozze da 5 cm, con tutto quello che ne consegue.

Ora, non so se questo sia un bene o meno, ma sicuramente è quello di cui avevo bisogno.

Il platter si apre con un trittico iniziale (Temptations Wings/Lifer/Pillars Of Eternity) da venire senza ritegno: i riff tellurici di Keenan sono quanto di meglio sentito dai tempi del buon vecchio Iommi, e scorrono via senza fare prigionieri. La voce di Anselmo è brutta, roca, perfetta per creare l'atmosfera che impregna le canzoni dell'album.
Voglio soffermarmi ancora sui riff: ragazzi, ma li sentite? Sono indescrivibili: un muro di poche e semplici note che ti prendono a calci in faccia.
Menzione particolare va a quel grand'omaccione del batterista, Jimmy Bower: il degno erede di John Bonham, senza dubbio. Un drumming roccioso, senza fronzoli, colossale nell'imponenza sonora; farsi martellare non è mai stato così piacevole, davvero!

L'album prosegue, tra riff blues portati all'estremo, inni alla marijuana ed alla Louisiana, fino a giungere a quella piccola perla che è Jail: una goccia di silenzio in un mare di watt rabbiosi.
Il clima si fa più mite, il tutto rallenta, si ferma. Una "Planet Caravan 25 anni dopo" ci conduce ad una riflessione personale, ancora provati dall'adrenalina delle precedenti canzoni.
La band tira fuori magici arpeggi, percussioni ed addirittura un mandolino. Ahh, ci voleva una bella boccata d'ossigeno!

Neanche il tempo di riprendere fiato - dopo il tributo, prima con la musica e poi con un titolo, ai Led Zeppelin (Pray For The Locust/Swan Song) - che, immediatamente, si giunge all'apice del disco: quell'inno generazionale che è Bury Me In Smoke, una splendida cavalcata sludge, rozza e diabolica fino al midollo, una vera dichiarazione al mondo intero. Anselmo qui si supera, con un testo dai toni molto forti, in cui schernisce la morte con in mano un joint di rito. Insuperabile.

... E' passata un'ora dall'inizio dell'album. Siamo stravolti, sudati, distrutti fisicamente... ma felici. Felici di aver condiviso con quattro bravi (sì sì...) ragazzi la passione per la musica, quella suonata dal cuore per il cuore, tanta tanta genuina rabbia, tanto blues e tanta attitudine '70. Con i Down, essere incazzati non è mai stato così divertente.

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