Un progetto coraggioso ed intrigante, quello materializzato poco meno di due anni or sono, nell’electro/trasversale japan-fashioned (quantunque italianissimo, Pisa, la ispiratrice base operativa) lavoro, semplicemente intitolato, “Haiku”. Una insperata maturità e competenza espressiva elettro-materica si dipana irrefutabile all’attento ausculto del primo (e probabilmente unico) vagito digitale, sulla famigerata lunga distanza, dei tre perspicaci suono de-strutturatori. Una plumbea timbrica (spesso minimale), affiancata spesso ad una elegiaca, sintetica ed inedita percussività, simbioticamente compenetrata da una attitudine concettualmente (indi solamente sottostante) “rock”, prosciugata da qualsivoglia abusata sonora vetero-referenzialità. Sembrerebbe di scorgere una sorta di trip hop scarnificato in divenire, vieppiù umbratile, talvolta traslucido e avvolgente, talora densamente ammaliante e mai ottundente, scaturito da una improbabile recording-session forgiata in una suono-camera iperbarica.

DRM, possibile/probabile riduzione pseudo-onomatopeica del sognante suffisso anglosassone, contiene alcune tra le tracc(i)e maggiormente "sognanti" ed intriganti siano state forgiate negli ultimi anni in seno alla cospicua neo-scena electro mittel-europea: un humus fecondo, senza cospicue (e banali) predilezioni/intenzionalità acustiche rivolte al dance-floor, ancorché attratto da quello più “alternativo” e non manieristico, perfetta sintesi di istanze e.b.m. destrutturate e “sotterranee”. Una sorta di elettro/pop-glitch cantautorale, manipolato da dei neo-improbabili Pankow, scevro per la quasi totalità da ottundenti clangori industriali e stolidamente intenzionato a porre in risalto il risvolto più rarefatto e umaniforme del proprio modulo espressivo.
Il canto, espresso esclusivamente in idioma italico, spesso caldamente sussurrato, quantunque altamente espressivo, viene accerchiato (mai invaso) da toni, ritmi e timbriche moderne, volontariamente ed elegantemente non frastornanti; ne vien fuori una obliqua forma neo-electro sfuggevolmente et perspicacemente attorcigliata su sé stessa, avvolgente e limpida: una corposa materia di partenza viene man mano scarnificata indi de-strutturata e postivamente rigenerata per sottrazione anziché afasico affastellamento. Quel che ne vien fuori è un modus operandi acustico (soprattutto se ci si riferisce ai miserrimi patrii confini) inedito, basilarmente sintetico, impensabilmente vitale ed intrigante. Per esemplificare questo semplice ma deviante “componimento poetico”, si potrebbe agevolmente citare la inerpicante/nebulosa, bellissima “Stamina”, la sottilmente audio-parcellizzata “Come Icaro” o ancora la incalzante dub-percussiva “Voodoo”. Ciascuno dei dodici frammenti emanati in questo intrigante contesto potrebbe essere agevolmente chiamato in causa per spiccate peculiarità proprie e felici audio-intuizioni.

I tre “DReaMers”, riescono con grande competenza e con apparente semplicità e ingegno nell’improbo compito di racchiudere e far convivere, in uno spazio espressivo così limitato (neanche cinquanta primi), una profonda intrigante intuizione ed un attualissimo possibile sviluppo materico e musicale.

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