Il mio bellissimo scheletro nell’armadio.
Grezzissimo quanto basta, indossa un chiodo di pelle, beve Jack Daniel’s, fuma Marlboro… e traballa pericolosamente totalmente strafatto in una gigante coppa di champagne.
Lui è Micheal McKagan, ma tutti lo chiamano semplicemente “Duff” perché (è una leggenda) ha sempre avuto una voce rauca come quella del papero Duffy Duck.
Sì, avete capito benissimo.
Questa volta vorrei stupirvi con effetti speciali… voglio parlarvi di Duff McKagan.
Ma sei pazzo??? Sì, lo sono. Lasciate che io lo sia almeno qui su Debaser.
Quando ero un ragazzino e orgasmavo tantissimo alla follia per i terribbili Guns n’ Roses, mi sentivo sempre attratto da Duff: Axl era insopportabile, Slash era il mito di tutti i chitarristi, Izzy quello che piaceva ai rocker seventies… e io, non so perché, facevo sempre il tifo per Duff.
Quei capelli bicolore, quella catena al collo corredata dal lucchetto pendente da novello Sid Vicious, quel basso con la cinghia calatissima sulle palle, quel modo così "strano" di suonare col plettro… tutte enormi boiate… che però ai miei occhi lo allontanavano un po’ dagli altri hardrockers Guns.
Le affinità elettive che avevo con il biondo bassista le ho percepite solo più tardi leggendo la sua storia.
Infatti pochi sanno che Duff nasce e si forma “artisticamente” a Seattle!
E’ qui che inizia subito a suonare la batteria (!) in alcuni gruppi punk come i “Fastbacks” e i “The Fartz” (“Le scorregge”)! Nel frattempo impara a suonare anche la chitarra e il basso, ma nello stato di Washington non c'è un gran movimento musicale e così Duff parte per Los Angeles (dove incontrerà gli altri Guns) proprio quando nella sua città natale sta per nascere il fenomeno “grunge”. Ma quella è un’altra storia. Tutta un’altra musica.
“Believe In Me” è il suo primo disco solista, e anche se è datato 1993, viene registrato durante le pause del massacrante “Use Your Illusion Tour”… per questo motivo i pezzi vengono catturati negli studi di San Francisco, Dallas, Denver, Londra e Los Angeles, e ogni volta quindi in un’atmosfera diversa.
Questo lavoro non assomiglia a nessun album dei Guns, ma ogni canzone è un pezzo della biografia di Duff. Amore, amicizia, solitudine, problemi di droga... ma anche denuncia sociale, politica, e critica dello show-biz.
Il nostro caro ex “punkettone” suona discretamente tutti gli strumenti e canta egregiamente tanto da far dimenticare a tutti di essere “soltanto” il bassista di Axl in borghese.
Naturalmente l’album è infarcito di preziose collaborazioni: tutti gli altri Guns n’ Roses (ad eccezione di Axl e Izzy), Jeff Beck, Lenny Kravitz, Snake, Sebastian Bach…
Diciamolo subito, i pezzi non sono niente di originale ma per lo meno sembrano suonare più genuini delle spente cover di “The Spaghetti Incident?”.
Si parte bene con la potente title track “Believe In Me” dove la chitarra padrona assoluta di Slash si riconosce fin dalla prima nota.
“I Love You” è una ballad acustica che s’intamarrisce nel ritornello zeppo di cori AOR.
Ancora più feroce è la successiva “Man In The Meadow” con l’assolo prepotente di West Arkeen che apre e chiude lo show.
“Fucked Up” è la traccia più coraggiosa: un lungo intro fatto di batteria (dell’amico pestone Matt Sorum), di riff taglienti di Jeff Beck , e di tastiere di Ted Andreadis… Duff canta con un megafono, e spara a zero sui mali della società corrotta.
“Could It Be You” è probabilmente il momento più ispirato del bassisteus ex machina: chitarre acustiche e romantiche tastiere intrecciano un morbido letto dove i sofferti sonni d’amore di Duff si distendono a meraviglia. Da ri-ascoltare l’arrangiamento d’archi classicheggiante e la sapiente rapidissima mano di Dizzy Reed nel finale. Se vi era piaciuta “So Fine” su “Use Your Illusion 2” questo è il pezzo che fa per voi.
Da segnalare l’epidermica punk-trash “Punk Rock Song”, “The Majority” cantata da un grande Lenny Kravitz quando era ancora un cantante, e la ballata blues “10 Years” con l’antipatico Gilby Clarke che però suona bene tutte le chitarre.
Nel finale il livello si abbassa con le superflue “Swamp Song” e “Trouble” (qui l’odioso Sebastian Bach scimmiotta il già irritante Axl Rose), ma risultano interessanti a metà “Fuck You” (uno street-new-metal cantato in coppia con il rapper nero DOC) e l’ultimo blues darkeggiante “Lonely Tonite” con tanto di trombe e talkbox.
Tirando le somme è un album carino ma a volte ingenuo, romantico e aggressivo, nostalgico, molto curato negli arrangiamenti ma rovinato da inutili riff metal.
Duff canta sempre molto bene e scrive testi sinceri, molto lontani da quelli pseudo-trasgressivi di Axl... ("10 Years" ad esempio racconta di una riunione di ex-compagni di scuola alla quale Duff non potè recarsi perchè in tour con i Guns).
L’impressione è quella che se si fosse fatto un mix delle migliori idee di questo disco più quelle di Slash (‘s Snakepit), sommate a quelle dei Velvet Revolver si sarebbe potuto registrare un discreto nuovo album dei Guns anche senza Axl Rose.
Se vi piace l'hard-rock melodico e amavate i Guns'n Roses meno ruffiani questo disco sarà per voi un gradevole ascolto.
…Ero ancora un bambino quando mio padre una sera mi diede da bere un sorso di whisky… mi disse: "Bevi un sorso e di' il tuo nome".
Dopo quattro sorsate non riuscivo a dire il mio nome perché ero completamente, magnificamente ubriaco…
Forse è per colpa di quella sbronza infantile che sono diventato un tipo un po' strano… Duff
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