Qui dove sono, al suolo, è difficile scuotersi di dosso la sensazione che il tempo scorra senza uno scopo, e che non si possa davvero cogliere qualcosa tra la sue pieghe beffarde che si agitano tra due confini di non-esistenza.

Qui, in questo canneto che un vento assorto nei suoi pensieri ha dimenticato di scuotere, a bordo di uno stagno il cui massimo sforzo consiste nel ripropormi la mia immagine senza increspature, empatizzando solidale con il mio immobilismo.

Ad alzare però lo sguardo verso l'alto, a sera - si sa! - ci si ritrova al cospetto delle stelle, alla corte delle loro maestà splendenti e misteriose; ed ecco che talvolta qualcosa si divincola nel petto, un alito di rinnovata tensione che sembra volersi slegare dalle catene del quotidiano per essere proiettato in una nuova dimensione.

Anche solo per una volta, oltre "la gravità che vince le mie ragioni".

La musica dei Duster vive proprio di questa sospensione tra terreno ed etereo, tra rassegnate bassure e avventurose altitudini, tra inerzia e viaggio: e d'altra parte non ci si potrebbe aspettare molto di diverso da una band che si muove nei solchi dello slowcore - massima espressione del ripiegamento su sè stessi - per poi concedersi, al momento opportuno, fughe verso l'infinito degne di uno space rock "intimista", o perdersi in sognanti atmosfere figlie dei migliori propositi dream pop.

Il tutto condensato in brani tipicamente di pochi minuti: chè un'emozione è intensa quanto breve, per sua natura.

"Contemporary Movement" (2000) è il loro secondo e ultimo LP. Più introverso e meno orientato verso gli astri rispetto al precedente, magnifico "Stratosphere", ma pur sempre commovente.

In effetti tutta la loro seppur breve carriera - EP, bootleg e rarità varie comprese - è ricca di gemme; e la produzione lo-fi non fa altro che restituircele ancora più affascinanti e "malinconicamente preziose".

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