Estetica, arte e funzionalità visiva e musicale, con i piedi saldamente ancorati al postmoderno e lo sguardo rivolto a qualsiasi futuro possibile. Compresi, anzi fondamentali, i futuri ipotetici immaginati nel recente passato; quelli irrealizzabili nel nostro futuro e irrealizzati nel nostro presente.

I futuri ipotetici a partire dagli anni ottanta: continuamente fagocitati dall'accelerazione costante di una società tecnologicamente improntata all'upgrade febbrile. Lampi di irrazionalità futuristica come quei minuscoli cellulari con antenne che si producevano. Parenti ancor più sfortunati dei futuri anteriori, perlomeno menzionati nelle grammatiche della nostra generazione. In un irrisolvibile purgatorio spazio-temporale tra due poli estetici che hanno prosperato in letteratura e cinema: il fantasy e la fantascienza.
Futuri abbandonati generano una malinconia più intellettuale che emotiva.

Ai più sensibili consiglio un'operazione semplice: effettuare una ricerca immagini su un qualsiasi browser; meglio se Explorer, in modo da porsi in una dimensione meta. Digitare "internet". Eccola lì, limpida e visuale: la vaporwave. I futuri.
Guardate quante sfumature di blu asettico e avveniristico. E quanta fluorescenza. Guardate quanti omini stilizzati collegati al mondo tramite cavi. Guardate quanti monitor di fine anni novanta collegati a persone, ancora cavi e http e www che fluttuano nel blu iperspaziale. Mille convenzioni misteriosamente accettate: tra obsoleto, futuristico didascalico e ridicolo netto. Quanta bellezza involontaria!

Un artista vaporwave estrae bellezza alle miniere d'oro dell'inconsapevole modernariato, crea una cornice adatta. Quindi seleziona, alla buona rielabora, istituzionalizza e incanala nel genere.

Il primo album della serie ATMOSPHERES di ECO VIRTUAL è uno dei prodotti più godibili della corrente musicale. Si compone di dieci rapidi ascolti rassicuranti dalle casse del futuro passato; due minuti in media.
Come il celebrato Tomorrow's Harvest dei Boards Of Canada, è introdotto da una sorta di tema, jingle d'apertura. Come un'ouverture d'accensione, ma dilatata e equorea, in piena codificazione vapor.
Cumulus Fractus dà subito quanto di meglio ci si possa aspettare dal genere: parte su una base percussiva antropologica con sovrapposizioni di synth e fiati morbidissimi in stile accompagnamento meteorologico-televisivo. La copertina richiama. Cresce veloce su pacchiane ritmiche prestampate e approda a un finale in pattern ascendente ripetuto; ogni ripetizione scandita dai tagli grossolani al sequencer.

Funzionalità: accompagnamento gradevole con tasso minimo di disturbo, convenzionalmente rilassante.
Arte: selezione dal reale e ridesignazione. Cambio del contesto e rielaborazione.
Estetica: non in senso kantiano. Si intende qui "estetica" in senso stretto come sistema di segni interdipendenti, a cui un elaborato che di tali segni sia composto possa essere immediatamente assimilato.

Si prosegue selezionando soprattutto dal brutto e funzionale musicale per eccellenza: la new age a uso pubblicitario. Tra vocalizzi femminili opportunamente rallentati, quindi pitchati verso il basso e semi-testosteronizzati. Come tanti Smokey Robinson artificiali, in ritagli. Pigri e estenuanti sintetizzatori ai quali manca solo una suadente voce over che invita a comprare casse d'acqua da 5 dollari la bottiglia. Fiati dozzinali, bassi riccardoni, maj7 a valanga rubati a una misteriosamente tronfia istanza del brutto-in-culo musicale: il lounge di genere.

Un malinconico e imballabile sentimento da nottate adolescenti passate alla tv accesa sul vuoto, con una di quelle antenne portatili sopra. Bombardati d'estetica, affacciati a una finestra su un futuro qualsiasi.

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