E' chiaro che non parliamo di Eye Of The Tiger né di Stallone sul ring, e neanche di Michael Bolton coi ciuffi al vento, dei Dakota di Runaway e di Carl Palmer in bianco che fa il giocoliere con le bacchette nel video di Heat Of The Moment, non parliamo di Neil Schon che sfodera un assolo tutto-muscoli dentro un'arena di 90,000 persone né dei Whitesnake edizione-1987 dopo una giornata trascorsa dal parrucchiere, e nemmeno dell'indimenticato Jimi Jamison che suona la chitarra da uno scoglio di Malibu Beach mentre David Hasselhoff e Pamela Anderson si lanciano in acqua coi salvagente (anche se non mi perdevo una puntata, perché negli anni '90 non guardavo propriamente cinema d'essai).

Ebbene no, di tutto questo non parliamo e non parleremo.

Parliamo invece di Fagen e Becker, delle chitarre fluide e pulite di Larry Carlton e Jay Graydon, di Jeff Porcaro e di Steve (Porcaro) immerso fra tastiere e piani elettrici dietro i tipici occhialoni, di David Hungate e di Steve Lukather, di Marc Jordan per chi lo conosce o lo ricorda, dei Doobie Brothers periodo-McDonald, di nomi come Lee Ritenour e di una miriade di altri che diranno poco tranne che a un pugno di collezionisti giapponesi e, non vedo perché ometterlo, dell'Alan Sorrenti delle migliori produzioni americane (per alcuni, peggiori in ogni caso).

Perché quando si parla di AOR è sempre bene precisare di cosa si sta parlando. E partendo da certi presupposti, il famigerato acronimo si tradurrà in un qualcosa di appetibile finanche per l'ascoltatore più scettico.

Il primo di questi scettici, ho il dovere di ammetterlo, sono io.

Che quando sento parlare di Arena Rock mi viene in mente - d'istinto - John Travolta con la fascetta sulla copertina di Staying Alive e non so perché.

In realtà il perché lo so bene, dico così soltanto per dire. Giusto un po' di retorica.

Tanto più che, mentre sto scrivendo, ho googlato Staying Alive 1983 e mi è apparsa una foto di John Travolta grondante olio che in costume e stivali fuoriesce da una nebulosa di fumo e raggi laser. Far From Over mi sta già suonando nella testa.

Il che mi costringe, dopo contestuale rigurgito, a fare un sospiro e a concentrarmi sull'immagine che più m'interessa: quella di un elegante e impettito Ed Motta su sfondo (sfocato) di palme, e un verosimile aroma di brezza marina nell'aria.

Penso d'istinto all'interno-copertina di Silk Degrees di Boz Scaggs, e l'istinto non mi tradisce neanche stavolta. Perché è lì, che quelle palme debbono portarmi e portarvi.

West Coast, anzi California per la precisione, Venice Beach, l'eventuale rosseggiare di un tramonto da ora legale (sulla spiaggia). Siamo nel 1978, magari. Ma se fossimo nel 1977, l'immaginario sarebbe lo stesso.

Gli strumenti che non devono mancare sono un sax e un Fender Rhodes, tutto il resto può alternarsi purché si alterni con classe. La session ha inizio, ed è un aperitivo a base di soul, jazz e funk. L'amalgama fra gli ingredienti è un'anima latina. Le citazioni sono l'oliva nel Martini.

E quindi non è un caso, se il ritmo di S.O.S. Amor si muove sul classico shuffle di Bernard Purdie in Home At Last - che il compianto Porcaro dei tamburi omaggiò almeno in Mama e Rosanna – tutta questione di classe, più che di tecnica nuda e cruda. E se si respira un generale mood da Deacon Blues, o da Black Cow se preferite (cambia qualcosa?).

Ormai ex(da tempo)-ragazzo prodigio del soul brasileiro, Ed ci fa capire che sa come cimentarsi col (non-)genere adulto per antonomasia, o piuttosto con quell'appeal tipico dei session-men losangeleni fra anni '70 e '80. Per “noi” che quello stile l'abbiamo amato e cercato ovunque scorrendo con gli occhi i crediti di qualche LP di seconda mano, sarebbe difficile imbattersi in un album più gustoso.

Lo sto ascoltando da un quarto d'ora, e dopo un quarto d'ora ho rimosso John Travolta in Staying Alive.

In costume e stivali.

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