Bene: questo è un disco che il mio amico e chitarrista (con cui immeritatamente suono da circa dieci-dodici anni) ha definito “l’ottava meraviglia”. Io non esagererei a tal punto; però sono sicuro che, tra tutti i dischi che ho, questo di sicuro lo metterei nei venti da salvare in caso di fuga immediata dalla ipotetica nave.

C’è un tale concentrato di musica, eleganza, competenza strumentale, musicale, riferimenti e rimandi alla tradizione, perfettamente dissimulati entro una veste jazzistica attualissima ed efficace che è veramente difficile tradurre in chiacchiere la soddisfazione maialesca (non trovo altro termine che renda meglio!) che può provare il vero jazz addicted mettendo questo prodotto nel lettore.

Stefan Karlsson difficilmente si schioderà dalla vostra mente e dopo questo ascolto vi rimarrà la matematica voglia di risentire e scoprire altro sia di Gomez che di questo pianista scandinavo, tale è la levatura artistica dei soggetti. Di Jimmy Cobb, uno dei padri storici della tradizione, spesso nell’orbita del quintetto di Davis per incisioni o concerti e partecipe di decine di altri consessi storici, nonché ancora attivo testimone dello sviluppo batteristico-percussivo odierno, non si può dire altro che egli qui offre un supporto creativo percussivo essenziale all’opera tutta, saldamente organizzata da Eddie Gomez, un musicista con un cervello che… levati!

1) “On green dolphin street” viene resa con un incedere ossessivo, dinoccolato e swingante (swing low, sweet chariot!) ma con un inaspettato e gradevolissimo salto di tonalità durante l’esecuzione della prima parte che è da un lato geniale, dall’altra un sottilissimo richiamo alle tre note che Davis modula nell’ intro della sua versione classica. Originale rivisitazione. A dir poco.
2) “Nardis” di Davis (di Bill Evans? Chi lo saprà mai?) viene introdotta da un “contrabass solo” da concerto e subito dopo ci regala l’ospite del disco, Jeremy Steig, flautista di classe estrema e protagonista per se stesso di intensa vita jazzistica nonchè collaborazioni di grido (Gary Burton). Egli è presente in due tracce (2,9). Il flauto è qui suonato in un assolo swingante e pieno di aggressività (simil Jethro Tull d’oro!) prima di cedere il passo ad un solo di piano che prelude ad un decollo stellare del trio.
3) “Spartacus love theme” è una ballad spaccacuore introdotta da un magistrale archetto-solo di Eddie, che lascia il testimone ad uno Stefan in piena ispirazione evansiana ed intimista. Non è certo un caso che uno dei migliori protagonisti del periodo di mezzo di Evans abbia scelto Karlsson; che non è, dal suo canto, un clone qualsiasi, sia pur di qualità, ma un musicista completo e geniale.
4) “Spider song” inizia con un solo di piano guardingo che viene tosto affiancato dai due ritmi in un terzinato bellissimo; da gustare con una sambuca in mano ed un sigaro nell’angolo della bocca. Gomez si riconferma un melodico e creativo inventore sui registri acuti dello strumento, quanto un musicista preparato ed umile: “… è da poco che sto scoprendo la bellezza dei registri bassi in un solo di contrabbasso…” detta solo qualche anno fa!!! Chiunque voglia scoprire un bellissimo assolo di contrabbasso, qui trattato come un specie di violino, deve necessariamente acquistarsi ‘sto disco. Samba e sambuca ”a gogo” per la vostra anima peccaminosa, boys!!!
5) “When you wish upon a star” è uno slow intimista e sussurrato in punta di strumenti. Qui l’omaggio a Bill Evans è evidente, magico e commovente, direi.
6) “Autumn leaves”. In ogni disco c’è un’ eccezione al discorso principale, in ogni edificio puoi trovare, se cerchi bene, una finestra un po’ obliqua od un dettaglio magari non in linea con l’architettura generale. Questo CD non sfugge alla regola e l’arrangiamento di questo brano, con continui salti di tonalità, rende la melodia ed il percorso tortuosi ed irriconoscibili. Che non vuol dire brutto, anzi: vuol solo dire che l'ascolto di questo brano, per me, ha alzato l’asticella del gusto “classico” di un buon mezzo metro.
7) “Just friends” inizia anch’esso con un bel solo di basso. Forse solo Bill col suo trio faceva altrettanto, si fidava ciecamente dei musicisti, che sceglieva accuratamente, al punto di dar loro uno spazio veramente paritetico nell’ economia del gruppo e al punto di non provare mai prima di un concerto. Miles ci sarebbe arrivato per altra filosofia e logica solo verso la fine della seconda metà degli anni sessanta (chiedere a George Coleman, cazziato più volte per aver… provato nella sua stanza d’ albergo!). Pezzo di alta concentrazione ed interplay.
8) “Footprints”. Questo è un brano che normalmente costituisce un severo banco di prova in quanto semplice come solo un giro di blues può essere, ma difficile da tirare avanti se non hai idee, capacità tecniche, senso della nota, dell’accompagnamento e chimica con i musicisti compagni di viaggio. Tutto certificato da questa esecuzione. Lezione di come si suona il contrabbasso, anche modale, con profitto. Promosso a giugno cum laude.
9) “Dedication” è il brano di chiusura dell’album, offerto da Eddie a tutti e dedicato a coloro che gli hanno fatto da maestro, modello, sprone o da semplice supporto perché egli potesse diventare l’artista e l’uomo che è. Nel bene o nel male. Brano che parte con un no-tempo e resta indefinito ma romantico ed etereo, con l’inserimento di Steig che aiuta a chiudere un disco bellissimo.

Per chi scrive, che le opere di Gomez le ha forse tutte, decisamente il miglior disco da titolare dell’artista: un CD da acquistare a colpo sicuro, non perdete neanche tempo a scaricare samples! Non mi permetterei mai di rischiare la ricezione di possibili maledizioni a posteriori: se vi piacerà, invece, mandatemi un… “grazie” telepatico!!!!!!!

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