Edith Piaf fu certamente uno dei personaggi più affascinanti della musica popolare del Novecento.
Anzitutto ebbe un'esistenza che definire tumultuosa e contraddittoria è un puro eufemismo, in grado di far impallidire le mitizzate vicissitudini di un Robert Johnson o di un Jim Morrison, e che si intrecciò in maniera sorprendente coi destini di quella Francia per cui è tuttora una fulgida icona del XX secolo.
Un'infanzia che sembra uscita da Les Misérables di Victor Hugo: nata per strada da una prostituta italiana, cresciuta tra bordelli e orfanotrofi. Poi gi inizi di carriera in un night infimo e il presunto coinvolgimento nell'assassinio del suo mentore. I sospetti di collaborazionismo coi gerarchi di Vichy, ma anche le incessanti collaborazioni con musicisti ebrei. La stesura di un pezzo - "La Vie En Rose", certamente la Canzone dei cugini per eccellenza - che nel 1946 sancì il desiderio di ripartire di una Nazione ferita e umiliata, mentre "Non, Je Ne Regrette Rien" sarebbe diventato l'inno dei pieds noirs in rotta con De Gaulle, di ritorno dall'Algeria all'ultimo atto del sanguinario colonialismo francese. Infine la morte del pugile Marcel Cedarn, suo grande amore e l'inevitabile approdo, per lenire l'ennesimo chagrin d'amour, nelle spire di alcool e droghe. Dalle cui catene la morte la liberò nel 1963.
E poi c'era la sua voce: possente e squisitamente dolce, capace di infiammarsi in molteplici sfumature, e un repertorio che spaziava da nude e intimiste ballate al classico cabaret parigino e mitteleuropeo per recepire istanze orchestrali jazz.

Edith aveva iniziato la sua scalata al successo alla fine degli anni 30. La Vecchia Europa si accingeva a entrare nell'abisso della guerra, e in una Parigi imbolsita e decadente facevano furore le storie raccontate da "Le Mome Piaf" (Passerotto). Poesia di strada, puttane, ladri, reietti, amori intensi e drammatici in uno scenario di povertà assoluta: il rosario sgranato di quel realismo melodrammatico che, plasmato dalla magnifica espressività di Edith, avrebbe presto costituito un archetipo fondamentale della canzone popolare, ben oltre il reame dei chansonniers. Edith stessa spesso scriveva i suoi testi, inaugurando l'archetipo del cantautorato, in un' epoca dominata dagli interpreti (come la pur immensa e coeva Billie Holliday, con cui condivise un destino sull'orlo del precipizio riscattato da una voce inimitabile).

Canzoni come "Mon Légionnaire", "Le Vieux Piano", "L'accordéoniste", "Milord", "C'est l'Amour" o le già citate "La Vie En Rose" e "Non, Je Ne Regrette Rien" risplendono tuttora dell'immortale luce dei classici: fuori dal tempo ma dentro la Storia. Proprio come Edith Piaf.

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