Ci facemmo strada passo dopo passo, gobba dopo gobba, aspettando di veder comparire la vetta. E finalmente, riuscimmo a raggiungerla. Guardai Tenzing, e anche sotto gli occhiali e la maschera ad ossigeno, potei scorgere il suo immenso sorriso di soddisfazione. Ci stringemmo la mano, ma a Tenzing non bastava, e mi abbracciò. Ci congratulammo fino a rimanere letteralmente senza fiato.

Erano le 11 e 30 del 29 Maggio 1953, e fu un momento eccezionale per entrambi”.

Cosa provi, quando prima dei voli di linea intercontinentali, prima dello Sputnik, prima di Gagarin, diventi l’essere umano più in alto del pianeta? Chi sei, quando scali il tetto del mondo, l’ultima frontiera, l’ultimo limite che l’uomo più raggiungere in verticale con le sue sole, misere forze?

Tenzing Norgay ed Edmund Hillary furono la prima cordata che riuscì a superare tutte le difficoltà estreme (e furono molte…) di una sfida mortale che aveva raggiunto livelli di ossessione. Si erano scelti, il robusto e silenzioso neozelandese, spinto dalla volontà di superare i suoi stessi limiti e di ”battere quel bastardo”, e il piccolo eroe sherpa, l’uomo che all’epoca era il più esperto scalatore della Madre dell’Universo, quella colonna del cielo che aveva sfidato e sconfitto per oltre trent’anni gli assalti alla sua sommità. Nessuno, nemmeno lui, era mai arrivato oltre al diabolico South Col, dove la montagna poco a poco succhia la vita degli scalatori. Un luogo che odora di morte.

Qualche giornalista occidentale, dalla sua cultura viziata di colonialismo, nel fetore dell’Impero che la Seconda Guerra Mondiale aveva cominciato a far marcire, speculò su chi fu davvero il PRIMO che mise il piede in vetta. Fu Hillary, perché in quel momento guidava la cordata. Beh, non era Inglese ma almeno era carne del Commonwealth, si pensò. Poco importava ai due; non ci fu Hillary senza Tenzing, nè Tenzing senza Hillary.

Chi fu il primo uomo ad essere fotografato in cima al tetto del mondo? Tenzing Norgay, imbacuccato nei piumini, mascherato contro i -25 gradi e la mancanza di ossigeno, netto e trionfante nell’aria inesistente di quel limite estremo. Più in alto di qualsiasi cosa avesse mai potuto immaginare. A parte gli dei, per i quali lasciò in dono caramelle sepolte nella neve immortale della vetta.

E la sua ascia da ghiaccio, ornata con bandiere terrestri che il vento nasconde quasi del tutto, sollevata ancora più in alto, verso quel cielo che nel 1953 sembrava irraggiungibile, più in altro ancora dei suoi occhi, di quelli di Hillary, più in alto di qualsiasi altra cosa su questa Terra.

Chi ha scalato una cima, chi ha dato sé stesso alla montagna, ai compagni di cordata, ai suoi stessi limiti, chi ha osato, anche solo sulle più docili e miti vette nostrane, sa che sensazione possa dare l’essere giunto dove oltre non si può andare, se non indietro. E vi immaginate cose volesse dire essere lassù, in QUELLA fine di Maggio, con gli occhi del mondo addosso?

Tenzing Norgay, nato dal niente, che respirava meno ossigeno fin dalla culla, voleva raggiungere la vetta della Madre dell’Universo per lasciare qualcosa non di sé, ma per i suoi figli e la sua gente.

Tenzing Norgay, che tutti dicevano sorridente, determinato, fortissimo, sta lì in cima all’Everest, fotografato dal primo, dal suo compagno, che senza di lui non sarebbe nemmeno stato lì, e che lo immortala nel giorno della sua, e della loro, più grande vittoria.

Nè Tenzing né Hillary respirano più; ma di Tenzing, e di quel giorno, rimarrà questa immagine, una delle più toccanti che mi sia capitato di vedere, la semplice esultanza di chi eleva sè stesso dopo essere arrivato là dove nessuno era mai giunto prima.

I primi. Sul tetto del Mondo.

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