Mi piace arrivare presto, ma mi piace arrivare presto sopratutto all'Eliseo. Mi piace sedermi assieme a quelle tre, quattro persone che popolano la sala, schioccare le dita per provare quell'effetto subacqueo che provo solo quando ho le spie cinque metri dietro di me (quasi mai), sentire tutto asciutto e cominciare ad abbassare il tono di voce. Appena mi siedo mi dimentico di tutto, comincio ad inanellare una serie infinita di ah-ahn, ah-ahn di risposta a marti che povera continua a parlare ma chissà che cosa dice amore mio. Quando partono i trailer poi è la fine, ti saluto.
Stavolta era il turno di un trailer geniale, tutto sbagliato, mi ricordo giusto la faccia di Anthony Hopkins (una delle tre, non quella da Chianti ma quella un po' offesa), una voce fuori campo che pareva dovesse annunciare XXX, una sequenza di scene senza senso e io come faccio a non appiccicarmi allo schermo con tutta l'anima?
Ma noi eravamo lì a vedere il nuovo lavoro di De Angelis. Senza sapere cosa aspettarci dalla nuova storia di Nicola Guaglianone, che interrompe il sodalizio artistico con Mainetti dopo il fortunato Lo chiamavano Jeeg Robot (e Basette e Tiger Boy) per firmare la sceneggiatura di questo Indivisibili, affidato alla regia del suddetto Edoardo De Angelis
Ma non tocco niente della frase sopra, pure se con quei sodalizio e fortunato sembra rubata a un articolo del Leggo.
Un litorale in fase d'albeggio, un Cristo abbandonato nella sabbia umida, musica marina, una camminata svogliata, una fotografia a filtro trasparente, e la sensazione che avremo di nuovo paura a tirare fuori l'orgoglio, che altrimenti stiamo esagerando. Indivisibili, come suggerisce il titolo, racconta la storia di Dasy e Viola, sorelle gemelle unite dalla nascita all'altezza del bacino: caratteristica che delinea un intuibile rapporto simbiotico tra le due e che le rende la vera e propria fortuna (economica e non) del disastro di famiglia in cui sono capitate. Una passione per il canto che si fa fatica a capire quanto sia autentica e in quale parte lo sia, un corpo unico che racchiude due anime che si contendono testa e cuore. Dasy e Viola sono l'attrazione del paese, protagoniste di feste da trionfo del kitsch con i loro tormentoni partenopei, appaiono avvolte da un'aura mistica per la parte più volgare del popolo. Fino a quando il meccanismo, come spesso accade, fa crac.
Se vogliamo parlare per reference, visto che chi scrive qui fa già fatica a coniugare i verbi mentre risponde alle lementele di questi cagacazzo che non sono altro, Freaks, ma anche Garrone: quello di Reality nella poetica e quello del Racconto dei racconti nell'estetica, perché sebbene la meta del genere sia diversa, il percorso intrapreso è molto simile. Non è cinema Italiano fatto con maniera estera. Non è scuola estera trapiantata nella cultura Italiana. E' Cinema, ed è Italiano.
La storia è raccontata completamente in dialetto campano, con un aiuto massiccio dei sottotitoli in più parti, e accompagnata in maniera sublime da musica e parole di Enzo Avitabile. Le sorelle Marianna e Angela Fontana offrono una prestazione pazzesca, che si consuma davanti alla macchina da presa con un'autenticità pesante, sorretta da dialoghi innegabilmente toccanti e realistici, senza sconfinare nel drammone demagogo. Il classico drammone demagogo. Dai tutti ne abbiamo uno in casa.
Dasy e Viola sono due sorelle, due facce di una medaglia, due verità. Tutti noi lo siamo, e la forza del film è inserire la faccia che tutti conosciamo, quella della mediocrità, quella del malaffare, dell'uomo porco maiale, del malaffare, del degrado, della superstizione, della chiesa ipocrita e corrotta, la faccia gomorriana, il Rhum, per poi rovesciarla e buttarti in gola il succo alla pera. Vabè insomma più o meno forse, praticametne mi èp piaciiuto.
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Altre recensioni
Di Cialtronius
Due angeli indivisibili, due handicappate vivono la loro triste sorte in uno scenario allucinante.
Un film duro, audace, amaro… un’opera ben diretta ed interpretata, da recuperare assolutamente.