"Nei paesi democratici non si rivela il carattere violento dell'economia, così come nei paesi autoritari non si rivela il carattere economico della violenza" Bertold Brecht.

"In America Latina, la libertà economica è incompatibile con le libertà civili" Orlando Letelier, ministro di Salvador Allende, all'indomani del colpo di Stato che rovesciò il suo governo.

Quest’opera, che fece conoscere l'uruguayano Eduardo Galeano al pubblico internazionale, divenne il testo di riferimento per un'intera generazione di intellettuali sudamericani, convinta che la posizione di eterni sconfitti alla quale il mondo aveva destinato il loro continente non fosse irreversibile. Testo proibito durante le dittature militari di Argentina, Cile, Uruguay, "Le vene aperte dell'America Latina" è una lettura indispensabile per chi voglia farsi un'idea di come si siano formati gli equilibri geopolitici, ma direi anche la cultura e la mentalità sudamericane.

La vicenda segue il cammino della Storia, e ci presenta una prima fase di invasione ed annientamento delle magnifiche culture indigene da parte delle potenze coloniali di Spagna e Portogallo. In maniera molto acuta, Galeano fa notare come le immense ricchezze afferite dal nuovo continente decretarono in ultima analisi la decadenza di queste nazioni, favorendo invece le nascenti e dinamiche economie industriali di Francia, Germania, Inghilterra e Olanda. In particolare l'Inghilterra seppe fondare il proprio sviluppo sul sottosviluppo altrui, divenendo da superprotezionista (in una prima fase di consolidamento della propria economia interna) a fortemente fautrice del libero scambio a livello mondiale (quando le sue tariffe concorrenziali avrebbero comodamente sbaragliato la concorrenza sul piano internazionale). Così fece l'Inghilterra agli albori della rivoluzione industriale, imitata successivamente dagli Stati Uniti alla fine del diciannovesimo secolo. Fu essenziale, per l'ascesa di queste due potenze industriali, la manutenzione in America Latina del sottosviluppo, basato essenzialmente sul latifondo e sul sistematico strangolamento della nascente industria interna. Galeano afferma: "La storia del sottosviluppo dell'America Latina è parte integrante della storia dello sviluppo del capitalismo mondiale". E ancora: "Neppure ai nostri tempi si può spiegare l'esistenza dei ricchi centri del capitalismo senza quella delle periferie povere e soggiogate: gli uni e le altre fanno parte dello stesso sistema".

Cambiano i tempi, l'umanità si evolve ma non cambiano i rapporti di forza tra il Nord e il Sud del mondo: nel ventesimo secolo i boia indossano giacca e cravatta, e si nascondono dietro le sterili e apparentemente filantropiche insegne del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, e di miriadi di altre organizzazione panamericane il cui unico scopo è quello di mantenere un sistema di controllo ferreo basato sul debito estero dei paesi poveri e i conseguenti prestiti a loro forniti.

Il progresso ha migliorato le condizioni sociali ed economiche dei lavoratori, ma non certo per quella brulicante sottoumanità che popola le periferie degradate dei grandi centri urbani di Lima, Bogotà, Buenos Aires. I "toderos", quelli disposti a fare tutto e di tutto per pochi spiccioli, che costituiscono una continua, implacabile concorrenza dal basso al costo del lavoro, che finirà inevitabilmente per calare sempre di più. Siamo al paradosso: paesi di salari bassissimi e costi della vita altissimi, paesi che riforniscono il mondo di cibo e materie prime (metalli, pietre preziose, petrolio, banane, zucchero, caffè), ma che non possono lavorarle e raffinarle al loro interno; paesi ai quali rivendiamo la nostra tecnologia di seconda ed terza mano facendogliela pagare come nuova.

La lettura è scorrevole e, seppure documentatissima, non si perde mai in tecnicismi. Certo lo sconforto può assalire il lettore, anche se Galeano non abbandona mai la speranza della redenzione, illustrandoci come nel corso dei secoli i popoli latinoamericani abbiano sempre saputo alzare la testa contro gli oppressori, rendendosi partecipi di rivolte eclatanti e momenti di democratico riscatto, come l'ascesa di Salvador Allende nel Cile dei primi anni settanta. Scriveva Galeano nel 1970: "Gli Stati Uniti, intrappolati nelle guerre del Sudest asiatico, non hanno nascosto il disagio ufficiale di fronte allo svolgersi degli avvenimenti al sud della cordigliera delle Ande. Ma il Cile non è oggi a tiro di una improvvisa spedizione di marines e, in fin dei conti, Allende è un presidente consacrato da tutti i crismi di quella democrazia rappresentativa che lo stato del Nord formalmente predica". La storia ahimè, dimostrerà quanto aveva torto...

Non sarà male, in questi tempi di delocalizzazione, deregolamentazione, privatizzazione, rendersi conto cosa succede quando i meccanismi del capitalismo si sviluppano senza che nessuna struttura sociale li freni, anzi spesso con l'entusiastico appoggio della fascia privilegiata della popolazione locale. Alla luce di quanto esposto in quest’opera, assume un significato di tutt'altro spessore quello che mi disse la mia insegnante di spagnolo, argentina, all'indomani del crack dell'economia di Buenos Aires che paralizzò il paese e mise in ginocchio la sua classe media: "Guardate che a voi italiani va meglio solamente perché siete in Europa".

Ma fino a quando?

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