Dopo le atmosfere funeree e decadenti che aveano caratterizzato le loro uscite discografiche precedenti gli Eels, creatura personale di Mark Oliver Everett, ritornano sulla scena musicale nel 2000 con "Daisies of the galaxy" a oggi uno dei loro migliori dischi.

Supportato dal fido drummer Butch e con l'intervento di alcuni ospiti di lusso a impreziosire ancora di più la sua opera quali Peter Buck (REM) e Grant Lee Phillips (ex deux ex machina dei Grant Lee Buffalo), il nostro eroe si addentra nei meandri del folk acustico strizzando l'occhio al pop più intenso e al country. Risultato di queste esplorazioni sono 14 gemme (anche se nella realtà 15 ma vedremo in seguito perchè) di una fragilità e bellezza disarmanti.

Il disco si apre con "Grace Kelly blues" maliconico folk venato di blues con la voce di E in bella evidenza contrappuntata dai fiati e da una chitarra elettrica tersa e suonata in punta di dita che rende ancora più liquido il brano. "Packing blankets" è un acquerello acustico lieve ma di grande effetto che trova nell'hammond il compagno ideale, per un pezzo trascinante ma nello stesso introspettivo. "The sound of fear" è introdotta da un basso cupo al quale ben presto si aggiunge il drumming trascinante di Butch. Un brano trascinante anche grazie alla prestazione vocale del leader che viene aiutato dal grande Grant Lee Phillips ai cori.
Semplicemente stupenda "I like birds" giocata tutta sulle pause e sulle ripartenze, e al cui ascolto è impossibile non muovere il piede a tempo. Dai toni e ritmi rallentati è invece la splendida "Daisies of the galaxy", ballata in grado di commuovere anche i più insensibili, grazie a una melodia cristallina e alla sempre più espressiva voce di E, vero punto di forza di tutto il disco, in questa occasione accompagnata dagli archi che la rendono ancora più sognante.

Decisamente atipica è invece "Flyswater", una rock song introdotta da uno xilofono trascinantissimo che ne costituisce l'ossatura e sul quale gli altri strumenti ben si amalgamo, in particolar modo la batteria. A dispetto del titolo "It's a motherfucker" è una tenue ballata per sola voce e piano con l'aggiunta solamente degli archi. Forse il pezzo più cantautorale dell'intero album, degno esempio del talento compositivo e interpretativo di Everett. Breve ma intenso è invece "Estate sale" strumentale con ancora il piano unico protagonista che fa da apripista per la seguente "Tiger in my tank". In quest'occasione maggiore risalto viene dato al drumming vario di Butch che prima parte in solitaria sordina ma nel corso del brano esplode in tutta la sua potenza per una delle canzoni più coinvolgenti e canticchiabili dell'intero cd. Spassoso è poi l'uso dei fiati e dello xilofono per un finale davvero schizoide.
Si scivola a questo punto in atmosfere quasi jazzate come in "A daisy through concrete" che vede Butch impegnato a suonare il proprio strumento con le spazzole mentre l'hammond liquido e terso come non mai si diverte ad improvvisare. Si torna verso ritmi più rilassati anche con la seguente "Jeannie's diary", e con "Wooden nickels" per sola chitarra acustica e voce aiutata per l'occasione da un nuovo intervento dell'hammond e degli archi. "Something is sacred" riprende le tematiche precedenti arricchendole ancora di più di melodia e liricità così come fa anche la successiva "Selective memory", ennesimo brano basato tutto sull'uso del piano e della voce.

Conclude il disco una bonus track, trascinante song, che vede i suoni farsi anche più sporchi e distorti senza per questo perdere il gusto per la melodia, degno suggello di un disco davvero ben riuscito. Un album questo degli EEls davvero meraviglioso, caratterizzato da colori tenui e da atmosfere oniriche in grado di emozionare e di far sognare l'ascoltatore, rapendolo con la propria dolcezza. Coinvolgente ma nello stesso tempo emozionante. Una perla di rara bellezza.

Da avere assolutamente.

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