Canzoni lente sognanti col gusto per le parole. Potrebbero essere dei Tindersticks.
Canzoni intimiste, con archi e fiati in sottofondo.
La title track è morbido spleen, trascinato, che degenera in una cacofonia di fiati verso la fine.

Ad ogni ascolto ci si chiede cosa stiano facendo. Ed il gusto per il lato oscuro, per le cose finite male. Come nei dischi dei Tindersticks o degli Arab Strap in qualche maniera è però una esperienza catartica, i fatti raccontati sono passati, ci si lecca le ferite, ma siamo vivi.
Canzoni di calma rassegnazione. Ed il gusto per il dettaglio, come nel meraviglioso video sempre della title track, in un teatrino per marionette, con le facce reali degli Elbow montate troppo grandi sui burattini. Che suonano.

"Oh you had to ask didn' t you. Oh you had to know".

Le altre tracce sono a tratti spettrali; ai primi ascolti la voce di Guy Garvey sembra quella di Peter Gabriel, ma più si ascolta e piú si scopre la sua identità.

Canzoni ruvide, nei testi e nei suoni con strane melodia. "Can't Stop" potrebbe essere una canzone dei Radiohead con le parti vocali che si arrampicano contro chitarre chunky à al Velvet Underground.

Comunque un bell'esordio, soprattutto per l'immensa "Asleep in the Back".

Nota bene: alcune versioni dell'album non hanno la title track e "Can't Stop". Non si sa perché.

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