C’è stato un tempo in cui la musica italiana ha saputo produrre capolavori e dischi dimenticati che sarebbe un peccato lasciare nell’ombra. Fra questi anche What, Me Worry? di Electric Frankenstein, registrato a Londra nell’ormai lontano 1976, in piena esplosione dell’italian prog, con gruppi come Orme, PFM, Banco, Sensation’s Fix, Osanna, Area, che raccoglievano, in quegli anni il plauso e la considerazione internazionale.
What, Me Worry? è tuttavia un album che possiamo tuttavia definire solo elitticamente come prog, essendo il parto di uno dei chitarristi più innovativi dell’epoca, Paolo Tofani degli Area, che di lì a poco si sarebbe ritirato dalla scena artistica per abbracciare la vita monacale e trasferirsi per diversi anni all’estero, ma risultando contraddistinto da un diverso gusto e una differente estetica, ma caratterizzato da un diverso approccio rispetto alle mode imperanti nella musica “alternativa” italiana dei tempi.

Le canzoni contenute nell’album, interamente suonate e cantate (in inglese) da Tofani, hanno, infatti, una vocazione rock che non si ravvisa negli altri gruppi sopra menzionati o negli stessi Area, risultando per certi versi un omaggio alla tradizione anglo americana, con qualche aggancio al Neil Young più lisergico. Al contempo, Tofani ripropone nell’album alcuni pezzi suonati con il suo vecchio gruppo, i Califfi, attivi nei tardi anni ’60, ed integra molti brani con l’intervento dei sintetizzatori, ottenendo un effetto finale che, per rendere solo vagamente il paragone, può avvicinarsi a Gioia e Rivoluzione contenuta in Crack degli Area.
La struttura di tutti i brani è molto simile ed omogenea, e ciò consente di prescindere dalla consueta analisi dei singoli pezzi in sequenza: il tessuto ritmico della canzoni è contraddistinto da una chitarra ritmica a “motore continuo”, sul quale si impostano i sintetizzatori manipolati (più che suonati…) da Tofani, e la chitarra elettrica, con sovraincisioni che vanno dal blues (Get Together, Waiting, Music Man) all’hard di ascendenze hendrixiane (Somebody Help Me, Feeling). Alcuni pezzi sono semplici e di durata contenuta (come quelli appena citati), altri più lunghi, quasi a sfiorare la suite, come Somebody Help Me, con tarde influenze psichedeliche. In altre occasioni Tofani abbandona la chitarra acustica e si produce in divagazioni di pura elettronica (sinty e chitarre), come ben emerge dall’ottima Moon Walk, con richiami a soluzioni e stili di Tangerine Dream e Hawkwind. Ottima sintesi dei vari approcci contenuti nell’album si ha in The Land of Magic Wizard, dall’incedere maestoso e straniante.

Album da acquistare da parte degli amanti del prog rock italiano dell’epoca, quand’anche per completare la propria discografia, a chi apprezza la musica meno scontata incisa nei seventeen, più difficile per tutti gli altri, anche se si tratta di incisioni schiette, dirette e non troppo cerebrali.

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