Parlare di un film come "Fronte del porto" significa parlare di storia.

Per quanto il decimo lungometraggio di Elia Kazan possa risultare ancora carico di attualità, al punto da non essere scivolato nel dimenticatoio e da non essersi lasciato scolorire dagli anni, parliamo pur sempre di una pellicola che dal 1998 è stata inserita dall'American Film Institute all'ottavo posto fra i cento migliori film americani di sempre (ora al diciannovesimo) insieme al datato "La nascita di una nazione", per dirne uno. D'altro canto affrontare una discussione a riguardo con toni saggistici potrebbe dimostrasi controproducente e, diciamocelo, noioso. Non c'è altro da fare che cercare di eludere queste "pericolose" inclinazioni e immetterci immediatamente nel discorso.

In una degradata New York di metà anni '50 il sindacato dei portuali è precipitato nelle mani di un gruppo di malavitosi guidati da Johnny Friendly (L.J. Cobb). Fra questi vi è Terry Malloy (M. Brando), un ex-pugile, e suo fratello Charlie. Friendly agisce nei confronti dei portuali con mezzi repressivi che non escludono l'omicidio qualora essi manifestassero l'intenzione di denunciare alla polizia i trattamenti riservati loro. Fra i sospettati del gruppo di Friendly vi è Joey Doyle, un vecchio amico d'infanzia di Terry, che viene appunto ucciso. Terry viene assalito dai rimorsi che si accentuano gradualmente quando conosce la sorella del defunto amico, Edie (E.M. Saint) di cui si innamora. Ormai Friendly dubita anche dell'onestà di Terry verso il gruppo e decide di assassinarlo. Dopo numerose avventure che vedono Terry confessare di aver dovuto perdere la sua ultima partita di boxe per favorire una scommessa di Friendly, rinunciando a divenire campione, la morte di Charlie, la testimonianza del protagonista al processo contro i gangster, il film si conclude con la rivolta dei portuali guidati da Terry, a sua volta sostenuto da parroco del luogo, padre Barry, (K. Malden) contro gli oppressori.

L'opera si basa su una serie di articoli scritti dal premio Pulitzer Malcom Johnson apparsi sul "New York Sun" con il nome "Crime on the waterfront". E in effetti c'è molta politica dietro questo lavoro. Per alcuni appassionati, ma anche per i semplici amatori, sapere che Kazan fosse parte attiva del governo Maccartista e che simpatizzasse per la House Committee on Un-American Acitivites (Una commissione di controllo anti-comunista degli U.S.A.) non è cosa nuova. Con questo film molti critici hanno manifestato grande perplessità: cosa ci fa un regista come Kazan a dirigere la favola del proletariato, la rivolta dal basso verso l'alto, tratteggiando, tra l'altro, il personaggio principale con delle pennellate di grandioso titanismo? La risposta è semplice: Kazan non lo fa.

E si, perché se leggiamo fra le righe possiamo apprendere tutt'altro insegnamento. Le classi meno abbienti sono rappresentate in tutta la loro indifferenza, accidia. Quando si diffonde la notizia della morte di Joey, tutti sanno cosa è successo, chi è stato, ma nessuno parla. In conclusione il male, rappresentato dai gangster, può essere estirpato soltanto qualora si corra alla polizia (Come suggerisce più volte padre Barry) e, metaforicamente, ci si ponga sotto la protezione dello Stato. La straordinaria valenza politica di "Fronte del porto" si connota sin da principio per una visione limitante non solo dell'"eroe della classe lavoratrice" ma dell'uomo in genere, ridimensionando la sua capacità di agire e ridefinendolo nella prospettiva di semplice cellula statale. Nelle ultime sequenze del film, Malloy si dirige con grande forza d'animo verso il capo per ottenere nuovamente il lavoro, una scena di grande potenza visiva e suspence: il viso di Brando è spaccato, gronda di sangue, le gambe non lo reggono, ma arriva a destinazione. L'eroismo del povero? Nient'affatto, se si considera la destinazione: il capo stesso, il padrone. Dopo la rivolta sociale si ritorna agli equilibri capitalisti, intesi come unico mezzo per garantire stabilità. Una concezione di sicuro poco condivisibile, anche se a tratti tristemente vera, quella che emerge da "Fronte del porto". Come già accennato in apertura, non è possibile affrontare una discussione sul suddetto film senza includervi delle contingenze politiche piuttosto scomode. Ma non bisogna fermarsi in superficie. Perché le idee politiche di Kazan possono non essere condivisibili, ma non è possibile non ammirare i criteri sottili, acuti secondo i quali il regista riesce a trattare un problema così delicato ottenendo ottimi risultati.

Gli aspetti tecnici di rilievo non sono un elemento trascurabile, anzi. Marlon Brando regala la sua migliore interpretazione in assoluto che lo fa spiccare rispetto al restante cast, a tenergli testa c'è solo il fascino malvagio di Lee J. Cobb. I momenti di maggiore impatto, infatti, rimarranno il litigio di Terry contro il prete e la scena in cui Malloy avvista il cadavere del fratello appeso con un gancio ad un muro, come un pezzo da macelleria, e con cura e dolcezza fraterna lo tira giù adagiandolo con calma a terra e chiedendo ad Edie di vigilare su di lui, come se fosse solo addormentato. Eva Mary Saint rimane nella norma senza brillare, discorso affine lo si può fare per Karl Malden, a tratti inutilmente enfatico, come nella scena in cui aizza i portuali contro i loro carnefici d'avanti alla salma di un lavoratore ucciso dai gangster. Ad incrementare la godibilità della pellicola c'è di sicuro l'eleganza di un bianco e nero utilizzato al meglio, con tagli di luce d'effetto che evitano barocchismi. Infine, sarebbe ingiusto dimenticare la scenografia: la pellicola è girata per la maggior parte in esterni e il regista risparmia allo spettatore ambientazioni standard da film gangster, tutto nebbia e whiskey, puntando su una resa più realistica e veritiera.

Per la cronaca: sette Premi Oscar, fra cui miglior attore protagonista e regia, e un Leone d'Argento a Venezia. Da vedere, ma a prescindere da quest'ultimo aspetto.

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