Fra i classici film di fine anni '70, che negli anni '80 passavano ripetutamente sulle reti private, "La macchina nera" (The Car) di Elliot Silverstein trova un posto speciale, non certo per le qualità intrinseche del lungometraggio, film di genere che ricalca lavori di ben più alto spessore come "Duel" e "Lo squalo" di Spielberg (ma che avrebbe forse fornito qualche spunto al King di "Christine"), ma per l'inquietudine che sapeva mettere negli ingenui spettatori che, bambini o adolescenti, lo vedevano programmato con una certa cadenza nel tubo catodico.
Vagando qua e là su internet ho infatti notato che diversi ex ragazzi ricordano ancora con panico la sagoma oscura dell'auto affacciarsi nelle quiete ed assolate strade del New Mexico, travolgendo senza un apparente perché studenti, musicisti, poliziotti e chi più ne ha più ne metta, guidata da un entità non meglio definita, che per comodo potremmo definire come "il male".
Alcuni, ricordo ancora mio cugino Giuseppe come propugnatore della teoria, sottolineano come, alla fine del film, nel panorama in fiamme (chi ha visto sa) spunti un belzebù stilizzato... analogamente a quanto si sarebbe visto per certuni spuntare, ventiquattro anni dopo l'uscita del film, dalle polveri del World Trade Center.
Ed in effetti il profilo interessante del film (che per inciso narra appunto di una macchina che uccide senza un perché nella provincia americana) è proprio questo: dato per scontato che nessuno guida l'auto (come invece in "Duel", molto più razionale nel suo impianto), che questa volta la natura non c'entra nulla (come invece ne "Lo squalo" e nell'antesignano Melville di "Moby Dick"), chi può voler la morte delle persone investite dalla macchina nera? Il film sembra suggerire una prospettiva religiosa, in linea con il tradizionalismo americano (ed infatti la macchina non entra in cimitero e non viola il terreno consacrato, a prescindere dal belzebù di cui sopra), ma l'ipotesi non può essere del tutto pacifica, ove si ammetta che anche la personificazione del male, o la sua reificazione in una banale macchina, possono essere solo strumenti per rendere intelleggibile l'intervento di una entità all'uomo, dando ad esso forma affinché venga riconosciuto.
Non so perché ma, a mio avviso, la macchina nera sembrerebbe piuttosto la gemella del monolito nero in 2001 di Kubrick, ovvero pura forma che maschera un contenuto totipotente, cellula staminale della paura che, in quel 1977, si è materializzata in un auto in questo modesto film con James Brolin, ma che ci accompagna sempre, dentro e fuori il cinema.
Un po' la logica del "Vincent Price" di Faust'O: possiamo farci paura da soli, ma è molto più utile trasferire le nostre ansie su un oggetto. La macchina, appunto.
Carico i commenti... con calma