"...Ma quell'uomo si era messo lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra che sarebbe potuto durare diecimila anni. Secondo me quell'abbeveratoio è ancora lì...e allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello a costruirlo e l'unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una specie di promessa dentro al cuore. Io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra, ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa" ("No Country for Old Men", Cormac McCarthy)
Non è più un Debaser per vecchi: John Cougar Mellencamp commentato da tre persone, un disco straordinario come "Letter to Laredo" di Joe Ely (uno di quelli che riescono una volta ogni dieci anni) a malapena cagato da un pugno di disperati. E allora mi chiedo che significato abbia proporre il concerto di Elliott Murphy su queste pagine virtuali? Soprattutto dopo aver controllato che "Aquashow", il suo strepitoso esordio del 1973, non è mai stato preso in considerazione.
Il concerto ai giardini della magnifica Rocca dei Rettori nel centro di Benevento costava la bellezza di zero tituli di pagamento e trecento persone hanno avuto la fortuna di ca(r)pire la magia del rocchenrolle. E credo che pur dopo una milionata di concerti l'abbia capita lo stesso Elliott James Murphy, figlio di un gestore di un centro di attrazioni acquatiche e ormai verso i sessanta anni portati splendidamente: una vita passata a scrivere grandi canzoni e a raccogliere molto meno di quanto meritasse.
Questa sera ha invece raccolto tanto: vecchi e gggiovani ammaliati dalle sue ballate a metà tra poesia e cinismo, tra sogni e delusioni, tra Dylan e Springsteen. Tutti pronti a far partire il classico uh-uh-uh per la coinvolgente "Last of the Rock Stars" e a buttarsi nella mischia per una geielouraie ("Gloria") da baldoria, dimenticandosi per un paio d'ore le preoccupazioni per il prezzo raggiunto dai broccoletti al mercato e per un presidente del consiglio da manicomio. L'amato Bob Dylan ossequiato con l'immortale "I Want You", che si spegne nell'armonica e nel tripudio dei trecento che non lo lasciano mai andar via. E dopo due ore e tre bis, Elliott stacca la spina dagli strumenti e ci avviciniamo a lui per cantare unplugged "Drive all night" (che in my honest opinion surclassa, e pure di parecchio, l'omonima canzone composta da Springsteen tre anni dopo). So di essere stonato ma credo che non freghi a nessuno e addirittura, quando l'atmosfera si fa più intima con una struggente rendition acustica di "Anastasia", sono a due centimetri dalla slide di Olivier Durand e anche il mio coretto da baritono funziona.
Tornando a casa, proprio come Joker in "Full Metal Jacket", penso che vivo in un mondo di merda, questo sì, ma dopo un concerto del genere mi rendo conto che sono ancora vivo...e non ho più paura.
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