Il debutto solista di Elliott Smith è il classico Cd da ascoltare in una notte insonne, tra  un pacchetto di sigarette da svuotare e un bicchiere di Johnny Walker. Musicalmente tanto semplice quanto intrigante, registrato su un domestico quattro piste, “Roman candle” conquista principalmente per l’intimismo che sprigiona il cantautore di Portland. Voce e chitarra acustica, occasionalmente una chitarra elettrica per puntellare i momenti più drammatici. Suoni tanto autentici da sembrare provenire da una stanza attigua.
Come un Nick Drake cresciuto nell’era grunge. Non carinerie da college à la Belle & Sebastian, ma testi crudi e scenari inquietanti: “Roman Candle” suona come l’ideale colonna sonora della spettrale Portland dipinta da Gus Van Sant in “My Own Private Idaho”. “Condor Avenue”  è la highway 61 della metropoli dell’Oregon, ideale punto di incontro di improbabili personaggi all’inseguimento di chimere. Versi come “She took the oldsmobile out past condor avenue / the fairground's lit / a drunk man sits by the gate she's driving through / got his hat tipped bottle back in between his teeth / looks like he's buried in the sand at the beach” sembrano davvero usciti dalla penna di Dylan.
Oppure “Drive All Over Town”, disperato inseguimento notturno della sua amata, che sembra provenire dal set di “Drugstore Cowboy”.
Le melodie qui non sono ancora quelle levigate e smussate – memori di influenze beatlesiane – che faranno risplendere opere come “Either Or” o “Xo”. I suoni sono claustrofobici e squadrati – appena mitigati qua e là dal fantasma di Paul Simon –  e lo si evince fin dai titoli. Ben quattro episodi recitano “No Name #” come dicitura, e non si saprebbe dire quale di questi sia più ammaliante nella loro desolata sinteticità.

I testi non sono da meno, anche quando i riferimenti alle droghe lasciano spazio a rapporti interpersonali complessi e sfigurati.
Illuminanti in tal senso sono i versi della title track:  “I'm hallucinating / I hear you cry / your tears are cheap / wet hot red swollen cheeks /fall asleep / I want to hurt him / I want to give him pain / I'm a roman candle / my head is full of flames". Oppure in “No Name # 2”: “ I’m lying here on the ground / a strip of wet concrete / her name was just a broken sound / a struffle step you hear when you're falling down / killing time won't stop this crying”.
Il meglio arriva però alla fine. "Last Call” è una  morbosa e disperata cavalcata, solcata da un’abrasiva chitarra elettrica. “And I wanted her to tell me that she would never wake me” ripete disperato Smith, prima di chiosare, esanime, "I’m lying here waiting for sleep to over take me”.
“Kiwi Maddog" suggella l’album con un inusitato pezzo strumentale, vivacizzato da sorprendenti chitarre country – psichedeliche. Singolare quanto una Cattedrale nel deserto.

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