Nelle intenzioni di Elton John "Blue Moves" sarebbe dovuto essere il suo ultimo album (non è casuale la tonalità azzurra della copertina che richiama direttamente quella del primo album, "Empty Sky"), o almeno l'ultimo prima di una lunga pausa: così non è stato, ma questo disco rappresenta una tappa cruciale nella carriera di EJ: la fine del primo di collaborazione con Bernie Taupin, Gus Dudgeon e la sua storica band e la fine definitiva della sua epoca d'oro. Di certo il buon Elton ha voluto fare le cose in grande per quello che sarebbe dovuto essere il suo testamento artistico, dando vita ad un pachidermico doppio album da ben 85 minuti di durata complessiva e mobilitando intere orchestre e cori gospel: tanta roba, decisamente troppa per un album ricco di ottime canzoni e melodie raffinate a cui si alternano noiosi riempitivi che spezzano il ritmo del disco e ne rendono l'ascolto da capo a piedi decisamente arduo.

La canzone simbolo di "Blue Moves" è senza dubbio "Sorry Seem To Be The Hardest Word", una delle ballate più tristi e struggenti di EJ, nonché una delle canzoni più semplici dell'album, che non si dilunga né si perde in arrangiamenti arzigogolati ma arriva dritta al cuore; simile nell'attitudine e altrettanto affascinante è la cupa e intimista "Tonight", un vero e proprio capolavoro pop-operistico con il pianoforte di Elton che dialoga con gli archi della London Symphony Orchestra, dipingendo un quadro musicale dalle tinte romantiche e dolenti. L'esperimento più riuscito di "Blue Moves" è sicuramente "One Horse Town", forse la canzone più atipica e bizzarra mai incisa da EJ con il suo conturbante rock "sinfonicizzato", mentre gli altri colpi di classe del disco provengono da canzoni più semplici ed immediate che si rifanno allo stile tradizionale di Elton John, come "Cage The Songbird", canzone volutamente scarna nel suo arrangiamento e lievemente psichedelica con un testo che, senza l'enfasi romantica di "Candle In The Wind", riflette sui meccanismi perversi della celebrità con tono poetico ma quasi crudo, ballate come la sognante "Chameleon" e il raffinato gospel "Where Is The Shoorah?". Molto interessanti e piacevoli anche i brevi strumentali "Your Starter For", che crea una sensazione di leggerezza in contrasto con il pathos di "Tonight" e "Theme From A Non-Existent TV Series", puro divertissement sottoforma di frenetico jingle.

Quelli che ho citato sono i momenti migliori dell'album, che però si perde spesso e volentieri nelle sabbie mobili di canzoni poco più che discrete ("Crazy Water", "Someone's Final Song", "If There's A God In Heaven") e pretenziosi riempitivi senza capo né coda come "Shoulder Holster", "Between 17 And 20" e "The Wide-Eyed And Laughing", toccando i punti più bassi con il noioso strumentale "Out Of The Blue" e le dozzinali "Boogie Pilgrim"e "Bite Your Lip", che sommate insieme fanno più o meno venti minuti di aria fritta.

In ultima analisi, "Blue Moves" soffre della stessa sindrome di sovrabbondanza di "Goodbye Yellow Brick Road", con più pretesa sonora ma decisamente meno ispirazione rispetto al 1973; indubbiamente non era proprio il caso di fare il passo più lungo della gamba, per di più in un momento di crisi, anche a livello personale, come quello che stava attraversando Elton John in quel periodo, ed è un peccato perché se fosse stato un singolo disco accuratamente ripulito da tutti i riempitivi e gli sperimentalismi inutili sicuramente il mio voto sarebbe stato di quattro, magari anche cinque stelle, perché canzoni come "Tonight", "One Horse Town", "Sorry Seem To Be The Hardest Word" e "Cage The Songbird" sono la dimostrazione che un talento come quello di Elton John può affievolirsi, perdere ispirazione, attraversare momenti di stagnazione ma mai spegnersi del tutto.

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