Il tanfo di muffa si rimesta con quello delle sigarette, qui dentro nessuno se ne cura. Qualcuno fissa il proprio bicchiere come se volesse confidargli qualcosa, ma poi resta in silenzio. I bar dell'east side sono tutti uguali. Dentro vi trovi la nebbia come giù al porto e un riciclo perpetuo di avventori pronti ad appropriarsi del primo sgabello libero. "Raunchy Rita" buca il fumo, irradiata da una stazione nell'etere.
"Ascolta Elvin, ci passano in radio!"
"Succede se suoni per Coltrane. Quanti qui dentro ci conoscono? Te lo dico io Richard, nessuno".
Il pianoforte fa la staffetta al sassofono. Qualche minuto dopo si riappropria della scena.
Jones inizia a suonare la batteria da autodidatta a 13 anni ma il cuore l'ha promesso allo strumento molto prima. "Non ho mai voluto suonare nient'altro da quando avevo due anni. In cucina prendevo i cucchiai di legno di mia madre e li battevo su pentole e padelle". E quel percuotere ha prodotto un certo effetto, se ne sono accorti, tra gl'altri, Baker dei Cream e Mitch Mitchell degli Experience. Ma quell'idea si rinnova sempre nella sua testa: più facile che ti ricordino come batterista di Coltrane che come Elvin Jones.
Il contrabbasso gioca con le spazzole a nascondersi e ricomparire nell'etere, rimestato dalla canizza del locale e perso in una cortina di fumo denso. La sua naturale appendice sono le dita di Richard Davis, anche lui destinato a un beffardo anonimato.
Che gran bel disco che è Out to Lunch! Vero?
Chi Dolphy si premurò di assoldare al contrabbasso? Ecco, bravi.
E per le settimane astrali di Morrison? Affermativo, la risposta è la stessa.
“La stanza è diventata molto più grande quando Richard Davis ha disimballato il suo strumento” ha osservato il pianista Ethan Iverson in un recente tributo. Certo, non potrebbe essere altrimenti, perchè la grandezza non si conta solo in centimetri. Ben altro.
Luci policrome attraverso le finestre fanno capolino nel locale incendiando la facciata. Il bagliore brilla sulle fronti imperlate dal sudore, nei solchi scavati dal tempo sulla pelle. Frattanto passa la millesima versione di Summertime, questa volta gelida e spettrale, con Elvin che cammina in solitaria per lunghi tratti e Davis che si diletta con l'archetto a lacerare l'anima a brandelli. Maledetti incantaserpenti che non siete altro.
Oltre il prospetto hard bop, in quest'album vi si trova tanta ricerca, sperimentazione e improvvisazione.
Un giornalista musicale all'epoca scrisse: "Non ci sono persone di plastica su Heavy Sounds, ma persone vere che cercano suoni veri."
L'orologio batte dodici e ha messo tre passi nel nuovo giorno mentre il locale si sbratta. L'ultimo ritardatario si accinge a guadagnare l'uscita mentre si accende una sigaretta...
"Ehi Elvin, ti sbagli, qui dentro vi riconoscono tutti nonostante questo fottutissimo fumo".
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